Continua il braccio di ferro tra la Chiesa caldea e lo Stato iracheno

Fonte: FSSPX Attualità

Il patriarca Louis Raphael Sako

Il patriarca Louis-Raphaël Sako pone le sue condizioni per un possibile ritorno a Baghdad: essere riconosciuto dallo Stato come capo della Chiesa cattolica di rito caldeo e, come tale, proprietario di tutti i beni ecclesiastici posti sotto la sua giurisdizione. Da parte dell'esecutivo, non vi è alcuna indicazione che sia pronto a cedere, anzi.

I toni non si calmano tra il capo di Stato iracheno e il cardinale Sako. FSSPX.Attualità aveva ricordato come, durante il mese di luglio 2023, il patriarca caldeo avesse deciso di lasciare Baghdad per stabilirsi in un monastero nella regione di Erbil, in Kurdistan.

All'origine di questo gesto, la revoca decisa da Abdel Latif Rashid, presidente iracheno dall'ottobre 2022, del decreto 147, emanato dal suo predecessore, il curdo Jalal Talabani, il 10 luglio 2013, che sanciva la nomina del cardinale a capo del la Chiesa caldea "in Iraq e nel mondo" e come tale "responsabile dei beni della Chiesa".

Una revoca che fa temere ai cristiani la perdita del sostegno del governo a vantaggio della fazione sciita delle Brigate di Babilonia, guidate da Rayan al-Kidani, a cui mons. Sako si oppone con forza da diversi anni. Quest'ultimo può contare su un alleato di scelta – e di circostanza – negli Stati Uniti, il cui obiettivo è controbilanciare l'influenza preponderante dell'Iran nella regione.

Il 1° agosto l'alto prelato caldeo ha pubblicato una lettera aperta in cui subordinava il suo rientro a Baghdad alla restituzione di tutte le sue prerogative: "Senza questo nuovo decreto, rimarrò ad Erbil fino alla fine del vostro mandato, e lavorerò con il futuro presidente per ripristinare una tradizione che risale a 14 secoli fa", ha scritto il patriarca al presidente, il cui mandato quadriennale scadrà nell'ottobre 2026.

"Non sono un semplice funzionario di Stato, ma il capo di una Chiesa che trae le sue origini dalla Storia", ricorda il cardinale, il quale spiega che rappresenta l'80% dei cristiani in Iraq. Cristiani il cui numero è diminuito notevolmente dopo il doloroso episodio dell'occupazione del Paese da parte dell'organizzazione dello Stato islamico (Is), passando da 1,5 milioni a circa 150.000.

Una situazione precaria confermata dalla Ong Open Doors, che classifica l'Iraq al 18° posto nel 2023 tra i Paesi in cui è piuttosto rischioso vivere quando si è cristiani, a causa di "intolleranza, discriminazione e persecuzione dei leader locali, autorità governative e gruppi estremisti islamici".

Al momento, la Santa Sede non ha rilasciato commenti su questi ultimi avvenimenti, ma sta lavorando attivamente dietro le quinte per consentire alla Chiesa caldea di uscire dallo stallo: conosciamo l'interesse mostrato da papa Francesco per la terra dell'Iraq, di cui è stato il primo papa in visita, nel marzo 2021.