
Il 21 ottobre mons. Marcello Semeraro, tuttora vescovo di Albano, già segretario del C7 e nuovo prefetto della Congregazione per le cause dei santi, ha risposto alle domande del quotidiano La Repubblica. L'intervista ha commentato la posizione di Papa Francesco sull'unione civile tra persone dello stesso sesso.
Quattro risposte, quattro risposte brevi bastano al vescovo Semeraro per contraddirsi pesantemente, per relegare i recenti testi del Magistero nella categoria dei "superati", e per fare un'affermazione condannata dal Sillabo di Pio IX. Senza dimenticare l'uso abbondante di un linguaggio "cerchiobottista".
Un "nuovo percorso"
Il prelato inizia ammettendo che "forse è la prima volta" che Francesco ha parlato così esplicitamente della sua accettazione, per non dire anche della sua promozione delle unioni civili tra omosessuali. Ma questo per aggiungere subito che sta solo seguendo "un percorso già aperto", in particolare da Amoris Laetitia.
Se seguiamo correttamente il ragionamento, l'esortazione post-sinodale conteneva già il germe di questa affermazione. Mons. Semeraro non dice in che modo sia contenuto questo germe, ma di fatto, Amoris Laetitia ci insegna che ogni unione dove c'è amore è buona in sé, indipendentemente dal vincolo legale che potrebbe darle una sorta di pienezza. La conclusione implicita è semplice: è attraverso la stessa porta aperta ai divorziati risposati che possono entrare le unioni dello stesso sesso.
Alla domanda sulla natura di questo "percorso", il futuro cardinale diventa molto evasivo, persino oscuro. Temporeggia e si abbandona a luoghi comuni: "i sostantivi sono più importanti degli aggettivi, (…) le persone contano più delle loro determinazioni storiche". Poi all'improvviso passa a un argomento completamente diverso: "Tutti, omosessuali compresi, hanno diritto di cittadinanza nella Chiesa".
Ma non si tratta della Chiesa, si tratta della società politica. Non si tratta di battesimo, fede o carità, si tratta del posto del matrimonio nella società. O al contrario, il posto che oggi si dà a ciò che si oppone, più o meno energicamente, al matrimonio: unione libera, convivenza legale o unione civile di persone dello stesso sesso.
L'arte di parlare senza dire niente
Mons. Semeraro, per farsi capire, ha cominciato a parlare in latino, spiegando che le premesse non devono andare oltre le conclusioni: non bisogna far dire a Francesco ciò che non dice.
Il giornalista ovviamente non ha capito e chiede apertamente al futuro cardinale di spiegargli quello che Francesco non dice. Il pensiero del vescovo si perde: il Papa sa quello che dice, è fedele alla dottrina, conosce il Catechismo della Chiesa ... Per poi affermare che il matrimonio non è solo un contratto giuridico per la Chiesa. E il Papa non lo nega.
Se cerchiamo di capire, mons. Semeraro intende che Francesco non equipara l'unione dello stesso sesso al matrimonio. Probabilmente fa bene a rassicurarci, ma sta insinuando che questo è ciò che avrebbe potuto essere capito ...
Completamente confuso, il giornalista finisce per dire che le parole del Papa sono "lontane anni luce da certe posizioni assunte in passato".
Un finale in caduta
La risposta - l'ultima - inizia con una sorta di negazione della natura stessa della Chiesa, avvicinandosi, tra l'altro, all'ultima proposizione condannata dal Sillabo che dice: "Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e transigere con il progresso, il liberalismo e la civiltà moderna".
Il presule afferma infatti: "Ma anche la società è cambiata molto, e di conseguenza la Chiesa". Se sta parlando della Chiesa fatta di uomini, che è cambiata negli anni, perché no? Ma se vuole parlare della costituzione divina della Chiesa, dei suoi dogmi, della sua fede e della sua disciplina: allora l'affermazione è davvero sbalorditiva e, francamente, sa di eresia.
Questa evoluzione ecclesiale ha qualcosa da far venire i brividi. Per vederlo, basta ricordare un testo firmato dal cardinale Joseph Ratzinger, quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, testo che non fa che riprendere la teologia tradizionale per applicarla alla situazione attuale.

Francesco e il futuro cardinale di fronte al cardinale Ratzinger e a Giovanni Paolo II
Sono le Considerazioni circa i progetti per il riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, testo pubblicato il 3 giugno 2003 e approvato da Giovanni Paolo II, che rimase fermo sulle questioni morali. Lo scopo di questo documento è impedire il riconoscimento legale delle unioni dello stesso sesso, fornendo argomenti a vescovi e politici.
Dopo un richiamo sul matrimonio e sul disordine oggettivo che costituisce l'inclinazione omosessuale, il testo affronta l'atteggiamento nei confronti delle suddette unioni. La conclusione del n° 5 è chiara: "In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, (...) è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all'applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo."
Il seguente capitolo fornisce argomenti "contro il riconoscimento legale delle unioni dello stesso sesso" in vari aspetti. Secondo l'opposizione alla retta ragione: "La legalizzazione delle unioni omosessuali sarebbe destinata perciò a causare l'oscuramento della percezione di alcuni valori morali fondamentali e la svalutazione dell'istituzione matrimoniale."
Secondo l'ordine biologico e umano, perché "Nelle unioni omosessuali sono del tutto assenti quegli elementi biologici e antropologici del matrimonio e della famiglia che potrebbero fondare ragionevolmente il riconoscimento legale di tali unioni. Esse non sono in condizione di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana."
Secondo l'ordinamento sociale: "Non attribuire lo statuto sociale e giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali non si oppone alla giustizia, ma, al contrario, è da essa richiesto".
E infine secondo l'ordinamento giuridico: "Poiché le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l'ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico, il diritto civile conferisce loro un riconoscimento istituzionale. Le unioni omosessuali invece non esigono una specifica attenzione da parte dell'ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune."
Il capitolo finale incoraggia i politici a prendere una linea morale ferma contro i tentativi legali di riconoscere le unioni dello stesso sesso. Precisa: "Se tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, i politici cattolici lo sono in particolare, nella linea della responsabilità che è loro propria."
Di conseguenza, "Nel caso in cui il parlamentare cattolico si trovi in presenza di una legge favorevole alle unioni omosessuali già in vigore, egli deve opporsi nei modi a lui possibili e rendere nota la sua opposizione". "Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale", conclude.
Così, ciò che 17 anni fa era moralmente proibito, sotto pena di grave peccato, per il cardinale Ratzinger e Giovanni Paolo II, ora dovrebbe essere permesso e persino incoraggiato per mons. Semeraro, eco di Francesco. Non è più un'evoluzione, ma una rivoluzione.
L'ultima parola sarà di Chesterton, che scriveva: "Non vogliamo una Chiesa che segua il mondo. Vogliamo una Chiesa che guidi il mondo", nel suo libro Charles Dickens.