
Dalla penna del professor Cesare Catananti, già direttore generale del policlinico Gemelli, è appena uscito un nuovo studio documentato che getta nuova luce sul famoso decreto di scomunica dei comunisti, che a suo tempo fece scorrere molto inchiostro.
L'interesse dell'opera La scomunica ai comunisti, ed San Paolo, 384 pagine, 25 euro, risiede nel fatto che l'autore ha potuto accedere agli archivi segreti della Sant'Uffizio, oggi aperti ai ricercatori, per il periodo che copre il pontificato di Pio XII (1939-1958), uno dei più contestati dell'intera storia della Chiesa.
13 luglio 1949. Un fulmine a ciel sereno: la Santa Sede pubblica il decreto di scomunica dei comunisti, firmato due giorni prima da papa Pio XII.
D'ora in poi, tutti coloro che "professano la dottrina materialista e anticristiana dei comunisti, e in particolare coloro che la difendono e la propagano liberamente e consapevolmente, incorrono ipso facto (…) nella scomunica specialmente riservata alla Santa Sede".
Settantatré anni dopo, i documenti, finora classificati, consultati da Cesare Catananti, gettano luce sul processo che portò l'allora Romano Pontefice a prendere una decisione con gravi conseguenze per tutta la Chiesa.
Le ragioni di questo decreto
Sembra che il decreto di scomunica fosse il risultato di diversi fattori decisivi. In primo luogo, la situazione nell'est. Dietro la cortina di ferro, infatti, la repressione contro i membri della gerarchia cattolica fu feroce, con un obiettivo dichiarato dalla parte dei rossi: creare un po' ovunque Chiese locali totalmente in mano al Regime.
Oltretevere, ci si rese allora pienamente conto che il bolscevismo mirava al cuore della Chiesa cattolica, non semplicemente per farla tacere, ma per distruggerla da cima a fondo. In ciò il decreto di scomunica appariva, per Pio XII, come un'operazione di sopravvivenza.
Altro fattore importante, la situazione in Italia: la penisola contava, nel 1949, circa due milioni di militanti comunisti, che nulla avevano a che vedere con la bonarietà del Peppone di don Camillo...
Tanto più che dagli archivi della Santa Sede risulta che il Papa aveva informazioni - poi confermate da Mosca e dagli archivi del Partito Comunista Italiano - secondo le quali si prendeva seriamente in considerazione una rivolta armata: bisognava occuparsi delle questioni più urgenti e chiamare all'ordine i tanti cattolici smarriti nel comunismo, ma ancora legati alle tradizioni della loro infanzia, come i funerali e i matrimoni nella Chiesa, vietati col decreto del 1949.
Allo stesso tempo, ciò permise di dare un impulso decisivo alla Democrazia Cristiana – partito fondato nel 1942 e sostenuto dal Vaticano – che dominerà a lungo la vita politica italiana, a partire dal 1949 in particolare.
Nella lettura dell'archivio del Sant'Uffizio, Cesare Catananti conclude con una valutazione a mezzitoni, per un decreto che non avrebbe "raggiunto gli obiettivi che si era prefissato": l'applicazione della pena canonica non è stata sempre molto facile, dato che ogni vescovo a volte interpretava a modo suo lo scienter et libere – adesione consapevole, libera e intima – che portava alla scomunica. Ma forse questa vaghezza giuridica era voluta per consentire ai vescovi di agire come pastori, e non solo come censori?
Comunque sia, l'autore sottolinea che questo decreto "dal forte carattere religioso" deve essere inserito in un contesto spirituale molto forte: allo stesso tempo, gli archeologi scoprivano la tomba di San Pietro, sotto l'altare della confessione del Basilica Vaticana, confermando la Tradizione e attribuendole un peso ineguagliabile.
Pochi mesi dopo, inizia l'Anno Santo 1950, che culmina con la proclamazione del dogma dell'Assunzione di Nostra Signora, colei il cui Cuore Immacolato dovrebbe un giorno trionfare sugli errori che il comunismo ha diffuso nel mondo.