Commento all'Instrumentum laboris - parte 3

Fonte: Distretto d'Italia

Commento del Prof. Matteo D'Amico al testo “Amazzonia. Nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale. Instrumentum laboris”.

Edizioni San Paolo, 2019, Cinisello Balsamo (MI) (edizione che riprende quella della Libreria Editrice Vaticana).

Articolo pubblicato dal Courrier de Rome, luglio-agosto 2019

PARTE TERZA

Chiesa profetica in Amazzonia: sfide e speranze

In un certo senso è la parte più rivoluzionaria di tutto l' Instrumentum Laboris, perché è quella dove, manipolando il concetto di inculturazione, si cerca di provocare il più deciso cambiamento nella Chiesa. Un grande sofisma regge questo progetto, quello appunto dell'inculturazione malamente intesa: “Da questo incontro e dialogo tra le culture, sono emersi nuovi cammini dello Spirito. Oggi, nell'incontro e nel dialogo con le culture amazzoniche, la Chiesa scruta nuove vie” (p.124).

Si tratta ovviamente di una manipolazione del concetto di inculturazione: l'idea corretta è quella per cui nel portare il Vangelo a un popolo molto lontano e diverso da quelli europei, si tiene conto nell'omiletica, nella catechesi, nella spiegazione della dottrina e della morale, nell'uso del linguaggio dell’arretratezza, della primitività o della mancanza di cultura della popolazione con cui si ha a che fare. È chiaro che in un villaggio di pagani pigmei dell’Africa centrale, provenienti da un culto animista, non userò il termine “ipostasi” o “sostanza prima”. Ma quanto alla sostanza di ciò che viene insegnato e praticato nulla deve essere ridotto o mutato: uno stesso Vangelo, la stessa Messa, la stessa morale. Della cultura nativa verranno rispettati tutti quei costumi o quegli usi, neutri o non dannosi rispetto alla vita di grazia; per cui se le tradizioni locali quanto al matrimonio prevedono che, ad esempio, l'uomo prima del giorno del matrimonio, rimanga una settimana fuori dal villaggio in isolamento, questo uso potrà essere rispettato e, magari, lentamente “cristianizzato”, rendendolo momento di preghiera e di raccoglimento. Così quanto al cibo, al modo di vestire, agli usi familiari e ai rapporti di parentela, alle tradizioni giuridiche e penalistiche, tutto ciò che non ripugna alla ragione e non lede la carità, tutto ciò che è degno è sempre stato rispettato dalla Chiesa, facendo sì che tutti i popoli cattolici sparsi nel mondo da un lato condividessero una stessa fede, una stessa dottrina, una stessa liturgia e una stessa morale, ma dall'altra conservassero moltissimi tratti propri nei costumi e negli usi, miscelando con grande armonia universalismo della fede e particolarismo dei costumi, trasfigurando tutto con la carità.

Ma inculturazione in nessun modo significa che la Chiesa deve modificare qualcosa di costitutivo della sua identità (dogma, morale, liturgia, sacramenti, ministeri) a partire dall'incontro con i popoli che evangelizza. Invece l' IL sviluppa proprio questa idea: infatti l'incontro fra Chiesa e culture amazzoniche viene presentato come un incontro alla pari, dove chi impara è soprattutto la Chiesa (“Sono emersi nuovi cammini dello Spirito (…) la Chiesa scruta nuove vie”).

Dunque la Chiesa in uscita amazzonica potrà e dovrà essere qualcosa di innovativo, di nuovo in senso assoluto e ci viene anche detto come sarà:

“Una Chiesa dal volto amazzonico nelle sue molteplici sfumature cerca di essere una Chiesa “in uscita” (cf. EG 20-23), che si lascia alle spalle una tradizione coloniale monoculturale, clericale e impositiva e sa discernere e assumere senza timori le diverse espressioni culturali dei popoli. Tale volto ci avverte del rischio di “pronunciare una parola unica (o) proporre una soluzione di valore universale” (cf. OA 4; EG 184). certamente la complessa, plurale, conflittuale e opaca realtà socio-culturale impedisce l'applicazione di “una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature” (EG 40). L'universalità o cattolicità della Chiesa, quindi, è arricchita dalla “bellezza di questo volto pluriforme” (NMI 40) (…) formando una Chiesa poliedrica” (p. 125, sott. nostre).

Il punto che abbiamo sottolineato è il più importante: si profetizza la frammentazione della dottrina della Chiesa cattolica in un pulviscolo di convinzioni diverse, come se essere cattolici non si fondasse essenzialmente sulla condivisione fermissima dell'unico depositum fidei. Certo in una prospettiva panteista e immanentista, di fatto neopagana, quale quella che si respira in tutto il documento, diventa legittima anche la molteplicità delle credenze senza che questa contraddizione turbi gli estensori del documento e le autorità romane, a partire dal papa, che lo hanno approvato. È proprio del resto della sensibilità pagana accettare appunto una molteplicità di dèi e di credenze, senza cogliere come ciò sia assurdo anche solo dal punto di vista della considerazione filosofica, razionale.

Allo stesso modo si ribadisce che occorre: “Superare posizioni rigide che non tengono sufficientemente conto della vita concreta delle persone e della realtà pastorale, per andare incontro alle reali necessità dei popoli e delle culture indigene” (p. 132).

Qui, come in Amoris Laetitia, si coglie perfettamente l'idea del tutto modernista di Chiesa che sorregge il documento: infatti per il modernista nulla è più detestabile di una dottrina pensata come immutabile, di una legge morale che non ammette eccezioni e che non evolve con i tempi. Poiché nel modernismo la fede deve essere sentimento che sorge dall'inconscio del singolo come dei popoli per soddisfare le più intime esigenze e i desideri delle persone stesse, è evidente che diventa “rigidezza” ogni pretesa della Chiesa cattolica di porre i dogmi come immutabili. Così mentre il vero apostolato cristiano è sempre consistito nel conquistare il cuore dei popoli catechizzati, sottomettendoli luminosamente alla forza del Vangelo, per i modernisti, amazzonici o meno, è il Vangelo che deve adattarsi alla “vita concreta delle persone”. Ecco spiegato perché il popolo deve diventare un nuovo “luogo teologico”, perché solo così si potranno giustificare il tradimento e l'adulterazione del Vangelo come nuova rivelazione, come rivelazione che continua nella storia, dove la mutazione del dogma diventa virtuosa e non più segno certo di eresia.

Il deliramento di questo IL davvero sembra non avere termine e continua con affermazioni sempre più sospette. Al paragrafo 120 troviamo scritto:

“Lo Spirito creatore che riempie l'universo (cf. Sap. 1,7) è lo Spirito che per secoli ha nutrito la spiritualità di questi popoli anche prima dell'annuncio del Vangelo e li spinge ad accettarlo a partire dalle loro culture e tradizioni. Tale annuncio deve tenere conto dei “semi del Verbo” presenti in esse. Riconosce inoltre che in molti di loro il seme è già cresciuto e ha dato frutti. Presuppone un ascolto rispettoso che non imponga formulazioni di fede espresse da altri riferimenti culturali che non rispondono al loro contesto vitale. Ma al contrario, ascolta la voce di Cristo che parla attraverso l'intero popolo di Dio” (Episcopalis Communio, 5)”.

All'inizio del passo citato si attribuisce a Dio creatore di aver ispirato ai popoli amazzonici “la loro spiritualità” anche prima che fosse loro annunciato il Vangelo. Gli estensori del testo sembrano avere però una visione naturalista dell'uomo, non cristiana, che cancella il dogma del peccato originale e dimentica il dominio che Satana esercitava ed esercita sui popoli non redenti dalla grazia e dall'adesione al Vangelo. Così la larga maggioranza delle credenze e delle pratiche religiose indigene, al pari di quelle dei popoli mesoamericani scoperti dagli spagnoli (Aztechi e Incas), erano parte di un vero e proprio culto satanico, basato su incessanti e abominevoli sacrifici umani al “dio” sole. L'aberrazione di questi sacrifici e la loro abbondanza (in alcuni casi è accertato che venivano sacrificate decine di migliaia di persone di seguito) era tale che fungeva da fondamento di tutta la loro società, causando incessanti guerre di razzia per procurarsi prigionieri da sacrificare e dando vita a regimi di fatto schiavistici incredibilmente oppressivi (si veda il capitolo sugli Incas in I. Safarevic, Il comunismo come fenomeno storico mondiale, ed. Effedieffe).

Inoltre le civiltà mesoamericane erano fondate sul dominio di una casta di sacerdoti-astrologi-stregoni che, oltre a gestire il fiume di sangue dei sacrifici umani, leggeva le stelle, dando vita a regimi fatalisti e superstiziosi che sono l'opposto della civiltà cristiana. Dunque non basta fare ricorso all'abusata categoria dei “semi del Verbo”: occorre discernere, ricordandosi che dove non viene annunciato il Vangelo e non regna Cristo non può che regnare il principe di questo mondo, che devia e acceca le menti e fa precipitare i popoli nel vizio. Appare dunque del tutto fuori luogo la visione irenica e rassicurante della “spiritualità” degli indios che anima il testo dell' IL.

Ancora più grave quanto il documento afferma subito dopo: “Presuppone un ascolto rispettoso che non imponga formulazioni di fede espresse da altri riferimenti culturali che non rispondono al loro contesto vitale”. Qui si nega in radice l'universalità della fede e della sua espressione, avanzando l'idea che ogni contesto vitale o popolo abbia il diritto a una formulazione di fede su misura. Ma la Chiesa cattolica, custode dell'unica vera religione e dell'unico culto gradito a Dio, si distingue proprio per la capacità che ha sempre avuto di donare a ogni popolo di ogni contesto culturale con i suoi missionari l'unica vera fede nella sua unica formulazione. Il contesto culturale qui non c'entra nulla, perché influenza al limite le modalità della catechesi o dell'omiletica, ma non può influenzare la formulazione del Credo.

Abbandono e tradimento della fede cristiana

Non è temerario, ma lecito e doveroso domandarsi a questo punto se gli estensori del l' IL sull'Amazzonia non abbiano perso la fede. Ogni passaggio alimenta il dubbio di trovarsi di fronte a persone che consapevolmente mirano a distruggere il cristianesimo e a sostituirlo con una nuova dottrina prona all'ecologismo dominante i più esclusivi circoli del potere finanziario mondiale. Ecco un passo che supera in gravità tutti gli altri:

“È necessario cogliere ciò che lo Spirito del Signore ha insegnato a questi popoli nel corso dei secoli: la fede in Dio Padre-Madre Creatore, il senso di comunione e di armonia con la terra, (…) i rapporti con gli antenati, l'atteggiamento contemplativo e il senso di gratuità, di celebrazione e di festa e il senso sacro del territorio. L'inculturazione della fede non è un processo dall'alto verso il basso o un'imposizione esterna, ma un arricchimento reciproco delle culture in dialogo (interculturalità) (…) Riconoscere la spiritualità indigena come fonte di ricchezza per l'esperienza cristiana” (P. 133).

Si notino:

• Dio che diventa “Madre” per favorire l'avvento del nuovo culto ecologista della terra pensata come “madre” appunto;

• il territorio sacralizzato, ovvero la natura divinizzata panteisticamente;

• il cristianesimo parificato alla spiritualità indigena che deve arricchirlo.

Distruggere la Chiesa cattolica

Agita questo documento una vera furia distruttrice dove a stento è celato l'odio per la Chiesa che lo anima. Così molte delle cose peggiori si annidano nelle ultime pagine. Sintetizziamo, per amore di brevità, le cose più gravi:

• introdurre una liturgia inculturata e pesantemente segnata dagli usi indigeni (colori, vesti, danze, canti, “in comunione con la natura” (?). (p.137)

• risolvere la carenza di sacerdoti cambiando i criteri di selezione e preparazione (p. 138);

• rendere i sacramenti accessibili a tutti superando “la rigidità di una disciplina che esclude e aliena” (p. 138);

• ripensare il Sacramento dell'Ordine separandolo dal potere di governo (p.140);

• per le zone più remote studiare il superamento del celibato ordinando “viri probati” che hanno famiglia (p. 142);

• “identificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne” (p. 142), perché in Amazzonia hanno un ruolo sociale molto importante;

• si chiede “Che la Chiesa accolga sempre più lo stile femminile di agire e di comprendere gli avvenimenti” (p. 144).

Non vi è chi non veda che se i rivoluzionari riuscissero a strappare per l'Amazzonia i sacerdoti sposati e le donne diacono, entro breve tempo tutte le zone del mondo, per esempio l'Europa, che hanno carenza di sacerdoti potranno ricorrere a questo precedente per introdurli a loro volta. Si tratta di usare l'Amazzonia come testa d'ariete, per poi generalizzare la pratica.

Il testo poi, in modo in fondo anche abbastanza ingenuo, svela il grande modello a cui la Chiesa cattolica deve ispirarsi: le sette protestanti (sappiamo del resto che il Papa è molto amico di diversi protestanti). Ecco infatti con quali toni esalta il loro operato nella foresta amazzonica, dove i gruppi protestanti, come in tutto il Sud America, dal Concilio Vaticano II stanno togliendo milioni di fedeli alla Chiesa cattolica:

“Sono persone (i pastori protestanti, ndr) come gli altri, facili da trovare, che vivono gli stessi problemi e diventano più “vicini”, e meno “diversi”, al resto della comunità. Ci mostrano un altro modo di essere Chiesa dove il popolo si sente protagonista e dove i fedeli possono esprimersi liberamente senza censura, dogmatismo o discipline rituali” (p. 156).

In effetti dopo aver esaltato la religiosità pagana animista, si sentiva la mancanza di un bell'elogio dei protestanti: che siano eretici che diffondono l'eresia e il loro odio per la Chiesa cattolica fra popoli cattolici da cinque secoli sembra essere cosa che non preoccupa gli estensori del documento e i vescovi sudamericani. Anzi gli eretici protestanti ci mostrano un altro modo di essere Chiesa (ovviamente migliore), dove non vi è “dogmatismo o discipline rituali”. Quindi siamo tutti formalmente invitati, oltre che a volgerci al culto della Dea Terra, la Grande Madre e a tornare al panteismo, anche a farci un po' più protestanti, modello di chiesa più vincente e più apprezzato dagli indios.

Conclusione

È possibile e forse doveroso, in sede conclusiva, sintetizzare la struttura del documento che abbiamo analizzato mettendone in luce i gravissimi difetti.

In primo luogo tutto il penoso discorso che l' IL sviluppa è fatto senza mai chiarire la situazione della Chiesa in Amazzonia: non ne è ricostruita la storia, non si hanno dati sulla diffusione e sull'andamento, sul numero di battesimi e di matrimoni. Il discorso è quindi totalmente astratto e, in definitiva, poco serio. Nessuno capisce leggendo di che cosa si stia parlando e quale sia la situazione del cattolicesimo in Amazzonia.

Non vi è nessuna valutazione rigorosa e seria sulla situazione morale, sul rispetto del vincolo matrimoniale ad esempio, sulla frequenza ai sacramenti, etc.: la situazione potrebbe essere rosea o pessima, ma semplicemente non lo si capisce.

Aumenta la confusione il fatto che non è mai chiarito se si allude all'evangelizzazione di indios già battezzati e convertiti o se si parla anche di evangelizzazione di indios lontani dal Vangelo e che non ne hanno mai ricevuto l'annuncio. La cultura e le credenze inde “ancestrali” vengono esaltate a tal punto che sembra si tratti ancora di pagani.

Si esalta in modo ridicolo la cosmovisione degli indios come una visione della vita di insuperabile profondità e bellezza, armonia e delicatezza: una conoscenza anche superficiale di questi popoli basta a mostrare che si tratta in realtà di un mondo tutt'altro che idilliaco. Tutto il testo è attraversato e reso assurdo da questo equivoco.

Non è mai affrontato, in nessun punto del testo, il tema della salvezza delle anime, della vita eterna, dell'immortalità dell'anima. Siamo di fronte a un cristianesimo fra il sentimentale e l'ideologico, da rivedere per favorire meglio l'armonia con la natura. Il testo presenta una fede completamente svuotata del suo nucleo di forza escatologico e soteriologico.

Non si parla mai di peccato e, parallelamente, non vi è il più piccolo accenno alla croce di Cristo e all'economia della salvezza fondata sulla croce. Come il peccato è completamente assente, così è assente non casualmente il tema della salvezza: di quale salvezza c'è bisogno dove non c'è nessun peccato? Il nome stesso di Gesù Cristo è nominato non casualmente pochissime volte.

Manca conseguentemente ogni accenno alla vita di grazia e alla necessità di alimentarla con i sacramenti e la preghiera: ogni vita di pietà è dissolta in una nebulosa di esaltazioni continue della spiritualità originaria degli indios, novelli “buon selvaggi”.

È forse il testo meno mariano dell'intero post-Concilio: non vi è praticamente un solo riferimento alla Madonna. E questo è molto sospetto e solleva molti dubbi sulla fede di chi ha scritto il documento.

Il documento presenta un'idea di inculturazione completamente falsa e distorcente che finisce col chiedere alla Chiesa di convertirsi alla spiritualità india.

Si mira a manomettere il sacerdozio e la liturgia e a sdoganare donne in qualche modo ordinate (anche se non si osa dire apertamente ancora a che cosa esattamente).

I riferimenti dottrinali e scritturali sono minimi e ci si trova solo di fronte a un profluvio di riferimenti ai testi di Francesco, di cui si utilizza senza pudore il gergo, ripetendo pappagallescamente le sue tipiche espressioni (su tutte “chiesa in uscita”).

Tutto il testo è schiettamente modernista in ogni suo aspetto, ma su tutti nel suo perorare la causa del più sfrenato “mobilismo dogmatico”: dove dottrina e morale non devono essere rigide e oppressive, ma elastiche e capaci di adattarsi alla realtà concreta e ai bisogni degli indios.


L' Instrumentum Laboris che abbiamo commentato non è un testo cattolico, ma un semenzaio di eresie, è un testo scandaloso e sarebbe dovere di ogni cattolico, ma soprattutto di ogni vescovo, condannarlo pubblicamente ed esigere che venga ritirato, denunciandone la falsità e gli inganni pubblicamente. La sua applicazione e il suo utilizzo durante il Sinodo sull'Amazzonia non può che provocare la rovina della Chiesa in Amazzonia innanzitutto, e in tutto il mondo quando la sua applicazione verrà allargata a esso.

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