Dossier speciale: "Traditionis custodes" (1)

Parte prima (1): Motivazioni ufficiali
Nel Motu proprio Traditionis custodes, papa Francesco attua tutta una serie di provvedimenti destinati a circoscrivere la messa tridentina, con l'auspicio di farla scomparire ad esclusivo beneficio della messa di Paolo VI.
Tale inesorabilità pone la domanda: le motivazioni che dà nella sua lettera di presentazione corrispondono davvero al reale obiettivo che si è prefissato?
Le procedure adottate
Traditionis custodes precisa una serie di condizioni che d'ora in poi devono inquadrare la celebrazione della liturgia tridentina: nelle chiese parrocchiali non si celebreranno più le messe secondo il rito antico. Spetta al Vescovo diocesano determinare la chiesa o cappella, nonché i giorni delle celebrazioni autorizzate.
Le letture saranno in volgare, secondo le traduzioni approvate dalle conferenze episcopali. Il celebrante deve essere un sacerdote delegato dal Vescovo.
A quest'ultimo compete verificare se sia opportuno o meno mantenere le celebrazioni secondo l'antico messale, assicurandone la "effettiva utilità per la crescita spirituale (sic)". Inoltre, il vescovo "avrà cura di non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi" di fedeli legati alla messa tradizionale.
I sacerdoti ordinati dopo la pubblicazione del Motu proprio, e che intedano celebrare secondo il messale di san Pio V, "devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l’autorizzazione consulterà la Sede Apostolica".
Quanto a coloro che lo stanno già facendo, chiedano al Vescovo diocesano il permesso di proseguire. Gli Istituti religiosi, "allora eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei", fanno ora capo alla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. I Dicasteri del Culto Divino e dei Religiosi assicureranno il rispetto di queste nuove disposizioni.
Il vescovo deve inoltre verificare che i gruppi per i quali si celebra la messa tradizionale, "non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici".
Questa misura corrisponde a una delle due motivazioni ufficialmente date dal Papa: non mettere in discussione il Vaticano II; l'unità della Chiesa è l'altro motivo ufficiale del Motu proprio.
Le motivazioni ufficiali: l'unità della Chiesa e la non messa in discussione del Vaticano II
Nella lettera che accompagna il Motu Proprio, Francesco spiega che le concessioni stabilite dai suoi predecessori per l'uso dell'antico messale erano motivate soprattutto "dalla volontà di favorire la ricomposizione [i.e. riassorbimento. NdR] dello scisma con il movimento guidato da Mons. Lefebvre".
La richiesta, poi rivolta ai vescovi, di accogliere generosamente le "giuste aspirazioni" dei fedeli che desideravano poter utilizzare questo messale, "aveva dunque una ragione ecclesiale di ricomposizione dell’unità della Chiesa".
Questa facoltà, osserva Francesco, "Quella facoltà venne interpretata da molti dentro la Chiesa come la possibilità di usare liberamente il Messale Romano promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al Messale Romano promulgato da san Paolo VI".
- Si noti il parallelismo mantenuto tra i promulgatori dei due messali, che ricevevano entrambi l'epiteto di "santo", al fine di esprimere una perfetta uguaglianza tra i due messali.
Ma, secondo Francesco, il desiderio di unità dei suoi predecessori è stato "gravemente disatteso" e le concessioni fatte con magnanimità sono state utilizzate "per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni".
Il Papa si dice rattristato da "un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”".
Dubitare del Concilio, spiega Francesco, "significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel concilio ecumenico[14], e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa".
Insiste: "è sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la “vera Chiesa”".
"Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione [...] contro cui ha reagito fermamente l’Apostolo Paolo. È per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori".
Francesco, revocando così gli accordi presi dai suoi predecessori, e specialmente da Benedetto XVI con il Motu proprio Summorum pontificum, compie una rottura radicale? No, perché lui e il suo immediato predecessore hanno entrambi la stessa preoccupazione di rimanere nella linea del Vaticano II e di preservare l'unità della Chiesa.
Ma Benedetto XVI era in quella che ha chiamato, nel discorso alla Curia del 22 dicembre 2005, "l'ermeneutica della riforma nella continuità". Così volle, con il Summorum pontificum, rispondere ai cattolici che subivano "deformazioni della liturgia" e desideravano ritrovare la "forma della santa liturgia che era loro cara", pur accettando il "vincolo del Concilio Vaticano II".
Benedetto XVI ha ritenuto "infondato" il timore che l'autorità del Concilio fosse "ridotta" dal Summorum pontificum, ha ritenuto che la fedeltà all'antico messale fosse solo un "segno distintivo esterno".
Quattordici anni dopo, Francesco denuncia un "un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II". Entrambi non vogliono mettere in discussione l'autorità del Concilio, ma divergono su come interpretarla.
Francesco non ammette più l'esistenza di un rito in due forme - ordinaria e straordinaria - vede nella Nuova Messa di Paolo VI, e solo in essa, la "più alta espressione" della riforma liturgica voluta dal Concilio:
"...prendo la ferma decisione di abrogare tutte le norme, le istruzioni, le concessioni e le consuetudini precedenti al presente Motu Proprio, e di ritenere i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, come l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano".
(Fonti: vatican.va/DICI n° 411 – FSSPX.Actualités)