Il Messale di Paolo VI: per quale sacerdozio? (1)

Fonte: FSSPX Attualità

Questo articolo continua la riflessione sul posto centrale della Messa nella crisi attuale. Vedi "Traditionis custodes" e la partecipazione attiva.

"Sacrificio e sacerdozio sono talmente uniti"Concilio di Trento, sess. 23, cap. 1. che cambiare la concezione del sacrificio della Messa comporta profonde modificazioni del ruolo che il sacerdote riveste sull'altare, nonché nella concezione stessa del sacerdozio.

 

Il sacramento dell'ordine è stato istituito da Nostro Signore il Giovedì Santo, nel momento in cui ha affidato il sacrificio eucaristico ai suoi apostoli.

Il Novus ordo stravolge il legame tra la messa e il sacerdote

Ora, il Messale di Paolo VI minimizza il sacrificio eucaristico. Abbandona il fatto che il sacerdote è l'unica causa del sacrificio della Messa, poiché agisce in persona Christi, in quanto il sacerdozio lo rende capace di parlare con la potenza divina di Cristo

Oggi invece la celebrazione eucaristica è l'atto di tutta la Chiesa, il sacerdote agisce solo in quanto la presiede. Si afferma così sistematicamente che il sacerdote "agisce anche a nome di tutta la Chiesa allorché presenta a Dio la preghiera della Chiesa e soprattutto quando offre il sacrificio eucaristico" (Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) n° 1552).

Se la Messa è sacrificio solo in quanto "memoriale" (CCC n° 1365), e se la cena commemorativa è compiuta da tutta la comunità - "Per sua natura, la celebrazione della Messa ha un carattere comunitario", Istituzione Generale della Messale Romano (IGMR) 2002 n° 34 - quindi la preghiera del sacerdote all'altare, consacrazione compresa, è di natura presidenziale.

Dire che il sacerdote agisce in persona Christi non ha più lo stesso significato. Non significa più che egli rappresenta l'umanità di Cristo, strumento della sua divinità, ma solo che rappresenta Cristo, Capo della Chiesa1 ; il sacerdote partecipa alla sua funzione presidenziale, non più al suo potere divino2 .

Il sacerdozio quindi scompare, lasciando spazio solo ad un'azione sacerdotale presa in senso ristretto, quella di tutta la Chiesa rappresentata dal sacerdote.

Così, il Novus ordo ritiene che, a parte le preghiere che il sacerdote recita "a suo nome", tutte le parole che il sacerdote pronuncia siano presidenziali (IGMR 2002 n° 30).

Mentre spetta al popolo adunato formare un corpo unico "o partecipando alle preghiere e ai canti, o soprattutto con l'oblazione comune del sacrificio e la comune partecipazione alla mensa del Signore" (IGMR 2002 n° 96).

La "Preghiera eucaristica" è rivolta a Dio "a nome di tutta la comunità" e "il significato di questa preghiera è che tutta l'assemblea dei fedeli si unisce a Cristo nella confessione delle opere di Dio e nell'oblazione del sacrificio" (IGMR 2002 n° 78).

Si afferma categoricamente che "l'Eucaristia è l'azione di tutta la Chiesa" (IGMR 2002 n° 5), "l'azione di Cristo e del popolo di Dio organizzato gerarchicamente" (IGMR 2002 n° 16), "un popolo la cui vocazione è portare a Dio le preghiere di tutta la famiglia umana3 ; un popolo che rende grazie in Cristo per il mistero della salvezza offrendo il suo sacrificio" (IGMR 2002 n°5).

Gravi conseguenze logiche

Ne derivano le seguenti conseguenze liturgiche, che se prese da sole, sono secondarie, ma condannate dalla Chiesa per ciò che vi è sotteso.

- "Nella costruzione di nuove chiese è preferibile elevare un solo altare, che significa, nell'assemblea dei fedeli, l'unico Cristo e l'unica Eucaristia della Chiesa" (IGMR 2002 n°303), che corrisponde a la trentunesima proposizione condannata dal Sinodo di Pistoia.

Proposizione 31 della condanna del sinodo di Pistoia (riunione giansenista tenutasi nel 1786 e di cui diverse proposizioni furono condannate da Pio VI) afferma: "La proposta del sinodo che afferma che, per l'ordinamento degli uffici divini, e secondo l'antica usanza, conviene che in ogni Chiesa vi sia un solo altare e che piaccia che questo uso sia ristabilito, (è) temeraria, offensiva per un uso antichissimo, pio, in vigore e approvato da molti secoli nella Chiesa, in particolare quella latina."

- Il requisito richiesto della recita ad alta voce della Preghiera eucaristica (IGMR 2002 n° 32) e in volgare corrisponde alla trentatreesima proposta di condanna del Sinodo di Pistoia.

Proposizione 33 della condanna del sinodo di Pistoia. "La proposta del Sinodo che mostra di voler rimuovere le cause che in parte hanno portato all'oblio dei principi che riguardano l'ordinamento della liturgia, 'richiamandola ad una maggiore semplicità dei riti, celebrandola nella lingua volgare e proferendola ad alta voce', come se l'ordinanza della liturgia ricevuta e approvata dalla Chiesa provenisse in parte dall'oblio dei princìpi dai quali dovrebbe essere governata, (è) avventata, offensiva per le orecchie pie, oltraggiosa per la Chiesa, e favorisce le accuse degli eretici contro di essa."

Altre modifiche liturgiche introdotte dal Messale di Paolo VI mostrano ancora l'evoluzione di un "sacerdozio del popolo di Dio organizzato gerarchicamente" a scapito del sacerdozio proprio del sacerdote che gli conferisce il potere di parlare con potenza divina:

- La sostituzione delle preghiere ai piedi all'altare con i riti di introduzione. Queste antiche preghiere, destinate alla preparazione del celebrante, non sono più rivolte alla preparazione personale del sacerdote, ma a quella di tutto il popolo, nuovo attore della liturgia.

Lo scopo dei nuovi "riti di introduzione" è "che i fedeli uniti in corpo realizzino una comunione" per "celebrare degnamente l'Eucaristia" (IGMR 2002 n° 46).

Da qui viene l'introduzione del rito del saluto al popolo adunato: "Questo saluto e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa riunita" (IGMR 2002 n° 50).

Parimenti, l'atto penitenziale introduttivo è recitato da tutta la comunità riunita (IGMR 2002 n° 51) e non più separatamente dal sacerdote e dai fedeli, dato il loro diverso rapporto con il sacramento dell'Eucaristia.

- L'esecuzione dei riti non è più di esclusiva responsabilità del sacerdote, eventualmente circondato da ministri sacri. Al contrario, viene privilegiata la distribuzione dei compiti ai diversi membri della comunità.

I laici, uomini o donne, saranno d'ora in poi invitati a condividere il rito delle letture (IGMR 2002 n° 101, 109) e della preghiera universale, reintrodotta (IGMR 2002 n° 197); potranno inoltre aiutare nella distribuzione della comunione (IGMR 2002 n° 162, 191) e chi serve la Messa potrà purificare i vasi sacri (IGMR 2002 n° 192).

In caso di messa concelebrata, i sacerdoti divideranno la recita delle preghiere presidenziali (IGMR 2002 n° 220, 223, 228, 231, 234). Nello stesso senso, infine, è stato concesso alle bambine il permesso di servire la Messa.

Conclusione

"Azione di Cristo e del popolo di Dio organizzato gerarchicamente" (IGMR 2002 n° 16), lo è certamente la Messa di Paolo VI. Il suo rito esalta l'azione sacerdotale della Chiesa costituita, a scapito indubbiamente della partecipazione interiore dei fedeli - pochissimi elementi del nuovo rito li invitano ad unirsi al Cristo immolato - ma ancor più a scapito del sacerdozio specifico del prete, unica causa strumentale della presenza eucaristica di Cristo nello stato di vittima.

C'è da temere che lo squilibrio non sia solo liturgico, ma riguardi la concezione stessa del sacerdote: sembra che il legame che univa il sacerdote e l'Eucaristia si sia spezzato, come manifesta l'esortazione apostolica Pastores dabo vobis.

Se fino ad allora la Chiesa aveva affermato con il Concilio di Trento che il sacerdozio era stato istituito la sera del Giovedì santo, l'esortazione si rifiuta di dirlo, come fa il CCC.

Ciò che Giovanni Paolo II nella sua Esortazione apostolica lega al sacrificio non è più il sacramento dell'ordine, ma, in modo del tutto nuovo, il sacerdozio universale dei fedeli: "Con l'unico e definitivo sacrificio della croce, Gesù comunica a tutti i suoi discepoli la dignità e la missione di sacerdoti della nuova ed eterna Alleanza. Si adempie così la promessa che Dio ha fatto a Israele: Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa (Es 19,6)."4

Un tale capovolgimento non è estraneo alla profonda crisi di identità che il sacerdozio sta attraversando dal Concilio Vaticano II.

 

  • 1Cf. Concilio Vatican II, Presbyterorum Ordinis n°2. "il sacerdozio dei presbiteri (…) viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell'unzione dello Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo, capo della Chiesa"
  • 2Cfr. S. Tommaso d'Aquino, Summa contra gentiles, lib. 4, cap. 74. "Uno strumento deve essere proporzionato a chi lo usa. È quindi necessario che i ministri di Cristo vi si conformino. Ora Cristo ha operato la nostra salvezza con la sua propria autorità e potenza, sia come Dio che come uomo. (...) I ministri di Cristo devono dunque essere uomini e nello stesso tempo avere una parte nella sua divinità in un certo modo, secondo una certa potenza spirituale."
  • 3Questa formula è sintomatica. Ormai, la mediazione sacerdotale non è più situata tra il sacerdote e ciascuno dei battezzati, ma è attribuita all'intero popolo di Dio, posto come mediatore tra Dio e il mondo.
  • 4Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, n° 13.