Il vaccino contro il Covid-19 è moralmente sicuro?
Nel momento in cui diversi produttori annunciano l’imminente messa a punto di un vaccino contro il Covid-19, diversi rumori circolano riguardo questi prodotti e avanzano l’impossibilità morale di usarne.
La situazione farmaceutica è estremamente complessa e in evoluzione. Ad oggi, si contano almeno 32 vaccini diversi in corso di elaborazione, secondo quattro diversi metodi di concezione.
Il presente articolo tratta unicamente della risposta da dare a questa questione morale: sulla base concreta del funzionamento di un vaccino e del modo in cui è preparato, è possibile usare l’uno o l’altro di questi vaccini senza commettere peccato?
Ognuno è libero di avere la propria opinione sull’origine del Covid-19, sul modo in cui è stato gestito nei vari paesi, sulle varie politiche di vaccinazione, sulla vaccinazione in generale; ma tutti questi elementi non cambiano in nulla la conclusione moral qui riportata.
Questo articolo comporta tre parti, necessarie a capire il giudizio morale qui riportato.
San Sebastiano curato da Sant'Irene, Georges de La Tour
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Presentazione della vaccinazione
L’idea vaccinale
L’idea di preparare il corpo contro gli effetti nefasti di veleni o di agenti infettivi non è nuova. Risalirebbe al re Mitridate (132-63 a.C.). Si dice che prendesse delle piccole dosi veleno ogni giorno per assuefarsi. Questa idea si ritrova oggi nella desensibilizzazione, che ha per scopo di diminuire le reazioni inappropriate nei soggetti allergici. Il soggetto è messo in contatto con delle quantità crescenti degli elementi ai quali è sensibile per arrivare a sopprimere la reazione allergica ai medesimi elementi.
Nella vaccinazione, il meccanismo è diverso. Consiste nel somministrare un agente infettivo in tutto o in parte, a volte la sua sola produzione, per provocare la reazione dell’organismo e permettergli di acquisire un’immunità contro tale agente.
Una prima importante conclusione deve essere tratta. La vaccinazione non fa altro che utilizzare una proprietà del corpo umano o animale: la capacità immunitaria di opporsi attivamente agli agenti estranei che lo attaccano. Così, se un soggetto è infettato dal bacillo di Koch, agente della tubercolosi, e guarisce, sarà immunizzato da una nuova infezione; è un’immunità naturale. Se un altro soggetto è vaccinato con il BCG (Bacillo di Calmette e Guérin), che deriva dal bacillo di Koch reso inoffensivo, sviluppa ugualmente un’immunità, prodotta dalla vaccinazione: è un’immunità indotta, efficace contro il bacillo di Koch.
Rimane tuttavia chiaro che questa immunità è anche naturale: è solo il modo in cui è stata prodotta che differisce. Questa immunità indotta è spesso meno duratura, perché la reazione sollecitata è meno importante che durante una malattia.
I diversi tipi di vaccini
Fino ad oggi, si potevano classificare i vaccini in due categorie: i vaccini vivi attenuati e i vaccini inattivati.
Nel primo caso, prima della somministrazione, si modifica innanzitutto l’agente infettivo allo scopo di renderlo innocuo, ma conservandogli il potere antigenico, ovvero la sua capacità di provocare una reazione immunitaria. Il caso del BCG è tipico di questo metodo. Il sistema immunitario attaccherà l’agente vaccinale e ne conserverà in memoria l’intervento: sarà quindi capace di difendersi in seguito contro un attacco dell’agente infettivo.
Tuttavia, questo tipo di vaccinazione è controindicato per i soggetti immunodepressi - il cui sistema immunitario è carente - perché potrebbe allora provocare una vera infezione. Il caso si è presentato con il vaccino contro il vaiolo e ha prodotto dei disastri.
Nel caso dei vaccini inattivati, l’agente infettivo è morto; può essere somministrato intero o in parte. Tra questi, il vaccino antitetanico è un caso particolare: non utilizza l’agente infettivo ma la tossina da questo prodotta, che è pericolosa se non anche mortale. Questa tossina è disintossicata prima di essere amministrata, in modo da non essere più pericolosa, ma mantiene il proprio potere antigenico.
Si può associare a quest’ultima categoria quella dei vaccini “proteici”: l’agente vaccinale è composto solo delle proteine che avvolgono il virus, o del suo intero rivestimento svuotato del contenuto.
Un’altra variante consiste nell’uso di un virus innocuo per l’uomo, per introdurre l’agente vaccinale nel suo bersaglio cellulare (vettore virale).
I vaccini sintetici
Un nuovo tipo di vaccino è in studio da una decina d’anni. All’origine è stato concepito per delle malattie come l’Ebola o la Zika. L’idea è stata ripresa per il vaccino del Covid-19.
Come ogni essere vivente, il virus Covid-19 contiene del materiale genetico formato di acido ribonucleico (RNA). Nei viventi, l’RNA può esistere sotto diverse forme: mRNA (messaggero) che trasmette le informazioni del DNA del nucleo della cellula ai sistemi utilizzatori; tRNA (transfert), che porta gli elementi da assemblare secondo il codice dell’mRNA; rRNA (ribosomiale) che va a costituire i ribosomi, centri della fabbricazione delle proteine.
L’idea del vaccino sintetico è di copiare una piccola parte del virus in questione, sotto forma di un mRNA. Nel caso del Covid-19 la parte scelta è quella che codifica la spicola, un elemento che permette al virus di introdursi nelle cellule.
Questo mRNA vaccinale è somministrato al soggetto e penetra in una cellula, cominciando quindi a moltiplicarsi. Quando esce dalla cellula, è identificato come elemento estraneo, e distrutto dal sistema immunitario. In questo modo, il soggetto acquista un’immunità indotta che gli permetterà di lottare contro un’infezione reale di Covid-19.
Il vantaggio di tale metodo è la rapidità della messa a punto. In effetti, i due laboratori che hanno già annunciato dei risultati molto soddisfacenti utilizzano questo metodo. Il laboratorio russo Gamaleya produce un vaccino in modo simile, ma utilizza un “vettore”, ovvero un virus, innocuo per l’uomo, per introdurre il frammento di RNA. Più avanti sarà esaminato ciò che può porre un problema morale.
La preparazione dei vaccini
La preparazione di un vaccino comporta tre tappe: la concezione, la produzione e il test in laboratorio. Nel corso di queste tre tappe, una difficoltà morale può sorgere in ragione del terreno di coltura nel quale il vaccino è preparato.
Notiamo subito che i vaccini contro le malattie trasmesse da batteri non sono qui in causa. In effetti in tal caso il terreno di coltura è costituito solamente da un insieme di nutrimenti che il batterio usa per nutrirsi: glucosio, acqua, calcio…
Nel caso dei vaccini virali, la difficoltà è la seguente: ciascuna delle tre tappe di preparazione può richiedere la coltura del virus, che ha bisogno di un terreno composto da cellule viventi. Nel caso particolare dei vaccini sintetici, ciò avverrebbe solo nella fase di test.
Ora, i virologi usano tre tipi di cellule: delle cellule estratte da organi umani o animali; delle linee cellulari1 continue che sono spesso di origine cancerosa e che si moltiplicano quasi indefinitamente; e delle cellule embrionali umane, che si moltiplicano ugualmente per molto tempo.
Le linee embrionali umane
Tra queste ultime, esistono attualmente almeno tre linee che sono originate da un aborto: la linea HEK-293, originata da un feto abortito nel 1972 nei Paesi Bassi; la linea MRC-5, originata da un feto abortito nel 1966 in Inghilterra; e la linea Per.C6, originata da un feto abortito nel 1985 nei Paesi Bassi.
L’uso di tali cellule provenienti da feti abortiti per produrre dei vaccini ha dunque corso dagli anni Sessanta, e ha già permesso l’elaborazione di diversi vaccini, come quelli per la rosolia, la varicella, l’epatite A e l’herpes zoster.
Nel quadro dello sviluppo dei vaccini contro il Covid-19, queste cellule sono utilizzate sia per produrre dei vettori virali (adenovirus), che trasporteranno l’agente vaccinale, sia per la proteina specola del coronavirus, che provocherà la risposta immunitaria.
I laboratori farmaceutici preferiscono, purtroppo, l’utilizzo di cellule provenienti da feti piuttosto che delle cellule adulte, che invecchiano più in fretta e cessano di moltiplicarsi. Le cellule fetali sono anche meno suscettibili al contagio da parte di virus e batteri, o dall’aver subito mutazioni genetiche.
San Sebastiano curato da Sant'Irene, Georges de La Tour
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Problemi morali posti dall’uso di linee cellulari derivanti da feti abortiti
La questione è di sapere se si possa, o anche se in certi casi si debba, impiegare un vaccino che sarebbe stato coltivato da cellule derivanti da un aborto.
Il crimine dell’aborto è così abominevole e diffuso oggi, che in prima istanza questa questione può sembrare inutile; spontaneamente, il cattolico risponde di no.
In realtà, il problema può rivelarsi estremamente delicato, perché capita che, in circostanze molto particolari, ci si possa confrontare a dei doveri così gravi, che questo potrebbe comportare un vero caso di coscienza. In questi temibili dilemmi, l’appoggio della teologia morale si rivela indispensabile per esaminare la situazione in profondità, e discernere il bene da compiere.
Osservazioni preliminari
È necessario notare che le cellule fetali non sono iniettate con il vaccino, come pensano alcuni; esse servono solamente alla coltura dei virus, e sono del resto distrutte dal virus, come lo sono le cellule infette in un malato. Questo non cambia però nulla al problema morale.
Occorre ugualmente notare che non è l’uso delle cellule fetali in se stesso ad essere colpevole, perché potrebbero essere state ottenute in modo lecito, in caso di aborto spontaneo. Il problema sorge dal fatto che sono state ottenute da un atto cattivo: un aborto procurato.
Distinzioni in campo
Il principio che guida la riflessione in questa situazione è quello della cooperazione al male. La questione che si pone in maniera generale è la seguente: è permesso cooperare al male o al peccato altrui? La teologia morale dà le necessarie spiegazioni.
Si chiama “cooperazione al male” il fatto di aiutare un peccatore a commettere il suo peccato, qualunque sia il tipo di aiuto portato. Perché abbia luogo, occorre che il cooperatore abbia una reale influenza sull’atto malvagio, con l’aiuto portato per produrlo.
Per valutarlo occorre con esattezza tale aiuto. Questo è un punto capitale. Coloro che trascurano queste precisazioni rischiano di giudicare male la moralità di una cooperazione.
Quest’ultima è detta immediata quando il cooperatore realizza con il peccatore l’atto stesso del peccato, per esempio se aiuta il ladro a portare via il bottino e a nasconderlo. È anche il caso dell’assistente del chirurgo che compie certe parti dell’aborto con il medico abortista.
La cooperazione è detta mediata quando il cooperatore fornisce ciò che servirà al peccatore per il suo peccato - materiale, azione necessaria, mezzo - o che gli permetterà di commetterlo più facilmente. Così per colui che tiene la scala al ladro, o per l’infermiere che assiste il medico abortista.
Questa cooperazione mediata potrà poi essere più o meno prossima o remota, a seconda di quanto l’aiuto portato sarà o meno influente sul peccato commesso, o avrà una connessione più o meno grande con esso. Così, fornire un idolo a un pagano sarà cooperazione prossima; vendere il legno con cui sarà scolpito l’idolo è invece cooperazione remota.
D’altronde, in funzione dell’intenzione, si distingue la cooperazione formale: il cooperatore consente volontariamente al peccato al quale presta mano. Così, il proprietario del bar che accetta di fornire qualche bicchiere al cliente già brillo, unicamente per denaro, partecipa al peccato di ebrietà ma non si associa all’intenzione dell’ubriacone.
Princìpi
- La cooperazione formale è sempre illecita e proibita, perché non fa altro che prendersi a carico il peccato cui coopera. Il cooperatore ricerca il peccato in quanto tale.
- La cooperazione immediata, ma solamente materiale, è illecita, perché è un’azione cattiva, e nella maggior parte dei casi un peccato identico a quello del peccatore principale. Per esempio, un assistente chirurgo che partecipa a una sterilizzazione - legatura delle trombe o vasectomia - commette lo stesso peccato del chirurgo. La sua azione infatti influisce direttamente sull’atto stesso del peccato, che non potrebbe essere commesso senza di lui, o almeno con molta più difficoltà.
- La cooperazione mediata è lecita o illecita. Nella maggior parte dei casi e ordinariamente, è illecita. Infatti si deve sempre cercare di evitare le azioni malvagie e di evitare di cooperarvi.
- Tuttavia, per una reale utilità o una necessità grave, si può a volte essere invitati a porre un atto che, benché buono in se stesso, sarà una cooperazione mediata a un atto cattivo.
L’utilità o la necessità in questione può essere così imperativa, che si è allora scusati dall’obbligo di evitare la cooperazione al male. Si dice che esiste una ragione proporzionatamente grave per cooperare lecitamente.2
Prendiamo un esempio generale: i diversi agenti possibili intorno a un aborto.
- Cooperatore immediato: l’aiuto chirurgo che compie una parte dell’operazione.
- Cooperatore mediato prossimo: l’assistente che aiuta il chirurgo passandogli gli strumenti.
- Cooperatore mediato meno prossimo: l’infermiere che prepara la donna per l’operazione.
- Cooperatore mediato ancora meno prossimo: colui che fa le pulizie in sala operatoria.
- Ancora più remoto: colui che sterilizza gli strumenti necessari.
- Cooperatore remoto: il laboratorio che fornisce i prodotti anestetici e i dilatatori, o ancora il fabbricante di strumenti chirurgici: in questi due casi, il materiale fornito può servire anche a operazioni diverse dall’aborto.
- Cooperatore molto remoto: l’impresa di consegne di questi prodotti.
Supponendo per ciascuno una cooperazione materiale, la “prossimità” in rapporto al peccato commesso è molto diversa. Si deve dire che ciascuno di questi cooperatori materiali è assolutamente tenuto ad astenersi? A qualsiasi costo?
La teologia morale risponde: no. L’influenza sull’atto cattivo è talmente debole, per esempio, per colui che spazza la sala operatoria, che una ragione quale mantenere il proprio lavoro è sufficiente per continuare a farlo.
Al contrario, più l’influenza sarà forte, più la ragione dovrà essere grave. E quando la prossimità è troppo grande, nessuna ragione potrà scusare. Si dovrà rifiutare, anche cambiando il proprio lavoro.
Applicazione ai vaccini preparati con cellule derivanti da aborti
Si tratta ora di situare la cooperazione degli attori della preparazione o dell’uso di un vaccino, nel caso in cui sia preparato con delle cellule derivate da un aborto. Si suppone sempre che si tratti di cooperazione materiale, quella formale essendo sempre e comunque illecita.
Colui che produce un tale vaccino e lo commercializza coopera al peccato di aborto in modo tale che, benché non possa essere qualificato come prossimo, può essere valutato come immorale. La colpabilità varia però secondo il ruolo esercitato.
Colui che dirige un’impresa farmaceutica che approfitta di un aborto passato, porta una responsabilità più pesante. Innanzitutto perché potrebbe scegliere di non fabbricare un tale vaccino, poi perché non dovrebbe più utilizzare le linee cellulari in questione, e scegliere altre linee che non pongano problemi morali, anche se questo presentasse degli inconvenienti.
Il ricercatore che sceglie le linee cellulari sulle quali vuole lavorare si trova in una situazione simile: approfitta di un crimine passato.
Ma il lavorante che si limita ad eseguire, o l’autista del camion che consegna il vaccino, compiono una cooperazione solamente remota: è dunque accettabile, specialmente per il secondo.
Il medico che vaccina un paziente, o il paziente che si fa vaccinare, cooperano solo in modo remoto, perché questi atti favoriscono il peccato di aborto solo in modo molto remoto e molto leggero. Per delle ragioni sufficienti di salute, tali atti potrebbero dunque essere moralmente permessi.
Una giovane donna che si sta per sposare può così ricevere il vaccino contro la rosolia, anche se un tale vaccino è quasi sempre derivante da cellule fetali ottenute tramite aborto. La ragione è il pericolo per il bambino: se una donna contrae la rosolia durante la gravidanza, soprattutto nel primo trimestre, il rischio di malformazioni - oculari, uditive o cardiache - è molto importante. Tali malformazioni sono definitive.
Tuttavia, se un vaccino è ottenuto a partire da cellule non derivanti da aborto, ed è disponibile, lo si deve utilizzare necessariamente.
San Sebastiano curato da Sant'Irene, Nicolas Régnier
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Applicazione al caso del vaccino contro il Covid-19
Ci soffermiamo unicamente sulla seguente questione: l’aspetto morale dell’utilizzo di un vaccino anti-Covid in relazione alla sua preparazione o produzione.
Linee cellulari utilizzate nel quadro del vaccino contro il Covid-19
La lista completa dei vaccini in preparazione è fornita nel documento annesso a questo articolo. Questo documento precisa l’impresa responsabile, e l’eventuale utilizzo di cellule derivanti da feti abortiti in una qualsiasi fase della preparazione: concezione, produzione e test.
Lista completa: [[{"fid":"127389","view_mode":"media_link","fields":{"format":"media_link","alignment":""},"type":"media","field_deltas":{"9":{"format":"media_link","alignment":""}},"link_text":"lista_dei_vaccini_attualmente_in_preparazione.pdf","attributes":{"class":"media-element file-media-link","data-delta":"9"}}]]
Giudizio morale secondo i princìpi posti
Poiché alcuni dei vaccini proposti non sono stati preparati illecitamente, sotto questo aspetto il loro utilizzo non pone problemi morali. Devono dunque essere preferiti agli altri.
Quelli che hanno utilizzato una preparazione moralmente illecita, devono per quanto possibile essere evitati.
Ma se, in un caso particolare, una persona si trova nella necessità di farsi vaccinare, e nell’impossibilità di avere un vaccino “lecito”, avendo a disposizione solo quello “illecito”? Questo può avvenire per ragioni di salute - persona anziana vulnerabile; o causa della situazione professionale – personale medico esposto; o ancora per una ragione professionale, come un viaggio in aereo, perché c’è già almeno una compagnia aerea (Qantas nella fattispecie) che ha avvertito che esigerà la vaccinazione per accettare un passeggero, appena i vaccini saranno disponibili. È probabile che tale esigenza sarà rapidamente ripresa da altre compagnie aeree.
La cooperazione essendo solo remota, e la ragione invocata sufficientemente grave, è possibile, in questi casi, usare un tale vaccino. Spetta allora a ciascuno di valutare, con appropriati consigli, della realtà di questa necessità.
Bisogna affermare nettamente che noi siamo nel quadro di un giudizio di prudenza, che non può essere uniforme per tutti e in tutti i casi. La teologia morale dice quello che è lecito o illecito. Dà i princìpi. Ma spetta alla prudenza personale di giudicare della loro applicazione nei singoli casi.
Quanto agli elementi esterni a questa questione [quella della liceità in funzione della provenienza o della preparazione del vaccino], siamo nel campo dell’opinione personale. Come per ogni opinione che non può essere provata in modo assoluto, sarebbe vano e impossibile volerla imporre a tutti. Ognuno è libero di avere la propria opinione sull’origine del Covid-19, sul modo in cui è stato gestito nei vari paesi, sulle varie politiche di vaccinazione, sulla vaccinazione in generale; ma tutti questi elementi non cambiano in nulla la conclusione morale qui riportata.
Un’ultima osservazione
Occorre notare che, oltre il caso dei vaccini che abbiamo studiato, la cooperazione al male si presenta in molteplici situazioni analoghe: queste possono essere trattate e risolte secondo gli stessi princìpi morali. Per esempio:
Si deve smettere di pagare le tasse, per esempio in Francia, perché una parte delle entrate serve a finanziare l’aborto o la procreazione assistita?
Si può accettare di rifornirsi da un farmacista che vende prodotti illeciti: abortivi, preservativi, contraccettivi? Non sarebbe una forma di incoraggiamento?
Si può accettare di farsi curare da un medico che accetta l’aborto e prescrive la pillola?
Si può accettare di recarsi in un centro commerciale o in una libreria che vende pubblicazioni cattive?
Una cassiera deve rifiutare di incassare il pagamento di un cliente che le presenta un DVD cattivo? È chiaro che la lista potrebbe continuare all’infinito.
Un ultimo esempio sarà tratto dal Nuovo Testamento: è permesso mangiare degli idolotiti, cioè delle carni sacrificate agli idoli (1Co 8, 1)?
Occorre sapere, per ben porre il problema, che tutta la carne consumata nell’antichità passava necessariamente dai templi. Del resto in greco una stessa parola, mageiros (usato unicamente al maschile) designava il sacrificatore, il macellaio ed il cuoco: per chi voleva astenersi da carni immolate, non c’era altra carne da consumare.
La risposta data da san Paolo è questa: è permesso mangiare queste carni, tranne nel caso che ciò porti scandalo al prossimo. Questo significa che chi consuma questa carne non partecipa al peccato di idolatria. Altrimenti san Paolo non avrebbe potuto rispondere così.
Ugualmente, colui che è in una situazione di cooperazione materiale sufficientemente remota nell’uso del vaccino contro il Covid-19, la cui produzione avesse approfittato di una delle linee cellulari summenzionate, non partecipa al peccato di aborto commesso 35, 48 o 54 anni fa.
Tuttavia, come è stato detto, occorre, per quanto possibile, evitare una cooperazione al male, anche solo materiale, e se c’è possibilità di scegliere, prendere il vaccino che non pone problemi morali.
Non dobbiamo tuttavia accontentarci di questo deplorevole stato delle cose senza fare nulla. I cattolici influenti devono usare tutto il loro potere per incitare l’industria farmaceutica a sviluppare i nuovi vaccini su supporti cellulari che non pongano problemi morali.
Don Arnaud Sélégny +
(Sources : lozierinstitute.org/ieb-eib.org/Le Figaro - FSSPX.Actualités)
Illustration 1, 3 et 5 : Flickr / Jean-Louis Mazières (CC BY-NC-SA 2.0)
Illustration 2 : Georges de La Tour, Domaine public, via Wikimedia Commons
Illlustration 4 : Nicolas Régnier, Domaine public, via Wikimedia Commons