La santità della Chiesa (8): la virtù di Prudenza

Fonte: FSSPX Attualità

San Pio V assiste in visione alla vittoria di Lepanto

Dopo le virtù teologali, la santità nella Chiesa cattolica si manifesta tramite l’esercizio delle virtù morali a un grado eroico e superiore alle forze umane, spesso accompagnato dai doni dello Spirito santo corrispondenti. Tra queste virtù, la prima da considerare è la prudenza, che permette di stabilire quale sia l’azione giusta da compiere in una situazione, relativamente al fine ultimo, e che comanda l’esecuzione di tale azione alle altre facoltà.

Se la prudenza permette di ordinare i mezzi al fine, il vero prudente sarà sempre e solo il santo, che è colui che ha raggiunto l’unico fine ultimo dell’uomo, quello della vita eterna. In questo senso il Vangelo ordina di essere “prudenti come serpenti” (Mt. 10, 16), ed insegna a rigettare la prudenza carnale, che persegue fini illusori: “Chi ama la propria vita la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv. 12, 25).

La prudenza personale

Va innanzitutto considerata la prudenza personale, cioè quella che ha per oggetto la rettitudine personale del soggetto, e di conseguenza come fine la sua beatitudine eterna. La prudenza evangelica sotto questo aspetto corrisponde alla follia della croce. È esattamente l’opposto della prudenza mondana, proprio perché persegue un fine contrario.

Alcuni santi portarono all’estrema dimostrazione questo tipo di logica evangelica, fino a vivere quella che il mondo considerò vera follia. Nel V secolo sant’Alessio, di famiglia romana nobile e ricchissima, abbandonò di nascosto la propria casa e la moglie appena sposata per fuggire e fare il mendicante, ritornando poi in casa propria senza farsi riconoscere e vivendo come ospite e servo presso i suoi. Simili vite “folli” furono quelle di san Nicola di Trani (XI secolo) o di san Benedetto Giuseppe Labre (XVIII secolo): in questi santi il disprezzo dei beni e della vita in questo mondo fu dettato dall’assoluto primato del fine eterno. Nei martiri stessi rifulge all’estremo la prudenza che mette anche la vita corporale in subordine alla beatitudine: sono essi i veri saggi quos fatue mundus abhorruit (“che stupidamente il mondo aborrì”, come dice l’inno del loro ufficio).

La prudenza dei santi nella ricerca del Bene assoluto dell’uomo li portò a preferire la povertà, anche assoluta, a isolarsi dal mondo, a fuggire gli onori e perfino ad abbandonare posizioni elevate: fu prudenza quella di san Pietro Celestino che, vedendosi impari ad amministrare il Papato, vi rinunciò; ma fu prudenza anche quella di san Pio X che, vedendosi imposto l’onere del Papato dalla Provvidenza, lo accettò come croce e come mezzo che Dio gli indicava per la propria salvezza, senza averlo scelto.

La prudenza governatrice

L’altra parte della virtù di prudenza è detta “governatrice” e rende capaci di portare al proprio fine delle moltitudini di uomini. L’esempio più ovvio è quello dei santi fondatori di ordini religiosi: le regole da essi stabilite sono il frutto di questa virtù, capaci di reggere comunità di uomini che insieme si aiutano a raggiungere la santità.

Ma oltre questo abbiamo la prudenza politica di chi governa la Chiesa o i regni. I santi Pontefici sono stati tali proprio per la loro capacità di capire le situazioni che la Chiesa stava attraversando e di provvedere con scelte adeguate al bene del loro gregge.

Un esempio luminoso è quello di san Pio V: di fronte al pericolo turco che era imminente sulla cristianità, e mentre i princìpi cattolici d’Europa sembravano indifferenti, egli riuscì ad organizzare la famosa Lega Santa che poi sconfisse la flotta musulmana a Lepanto. Senza entrare in questioni storiche, fu certamente necessaria una prudenza politica quasi miracolosa per mettere insieme spagnoli e veneziani, che avevano interessi divergenti e rapporti tempestosi.

Vera prudenza e necessità dell’umiltà

San Tommaso enumera otto parti integranti della prudenza, necessarie a compierne gli atti in modo perfetto: memoria, intelletto, docilità, sagacia, raziocinio, previdenza, circospezione, cautela. Senza entrare nella spiegazione dei singoli termini, ci limiteremo qui a notare come esse non possano funzionare correttamente senza l’umiltà, che rimane il fondamento delle virtù nei santi.

Ricordare i precedenti e stimarli al giusto valore è possibile solo a chi pensa di poter imparare da chi lo ha preceduto (e in questo la memoria si collega alla docilità): l’amore per la Tradizione, il rispetto per quanto deciso dagli antichi è stato comune ai santi.

I grandi legislatori della Chiesa, fossero Pontefici come san Gregorio I o san Gregorio VII, o canonisti come san Raimondo di Peñafort, o fondatori di ordini religiosi, hanno avuto come metro la regola dei Padri. Ogni riforma è stata un tentativo di riportare in vigore quanto era praticato e creduto dall’inizio. La superbia, che per san Pio X è all’origine del modernismo, ha invece rotto i ponti con il passato, dimostrando con il fallimento anche la propria imprudenza nel governo.

Ugualmente il raziocinio o la sagacia richiedono un’umile considerazione della realtà, esaminandone le circostanze (circospezione) e accettando i propri limiti (cautela). Per quanto ispirati da Dio anche a scelte audaci, i santi non sono stati vittime della propria immaginazione immoderata. In questo senso tali scelte dei santi furono veramente prudenti (ed efficaci) perché umili: infatti essi mettevano in conto la realtà dell’onnipotenza divina, non delle proprie capacità vere o presunte.

Il rifiuto della potenza divina, elemento decisivo nella valutazione della realtà, può condurre paradossalmente il superbo tanto alla hybris quanto alla pusillanimità. Non è un caso che la Vergine Santissima nel Magnificat dica proprio che Dio ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore.

Le parti potenziali della prudenza

Legate ad atti secondari della prudenza sono l’eubulia, la sinesi e la gnome.

L’eubulia è la capacità di prendere consiglio e di consigliare. Molti santi sono stati ricercati per la loro capacità di dare consiglio, di capire quale fosse il mezzo migliore per il fine. Sant’Antonino, vescovo di Firenze nel XV secolo, fu soprannominato “Antonino dei consigli”.

Molti re e potenti si disputarono il consiglio dei santi, considerandolo infallibile: così avvenne per san Bruno con Ruggero di Sicilia, per san Francesco di Paola che fu chiamato e voluto dal re di Francia come consigliere, per la beata Lucia da Narni che il duca Ercole di Ferrara volle a tutti i costi presso di sé, o per san Pietro di Alcantara con Carlo V.

Se la sinesi è capacità di applicare correttamente le leggi (naturali e positive) in circostanze ordinarie (e quindi difficile da evidenziare nel suo esercizio eroico), la gnome permette di risalire ai principi più alti quando, in situazioni eccezionali, sarebbe impossibile applicare alla lettera le leggi ordinarie. Tale virtù è spesso difficilmente distinguibile dall’azione del dono di consiglio, se non per la necessità di riflessione che ne rende l’atto (detto epikeia) meno immediato.

Ne fu esempio il nostro Fondatore, Mons. Lefebvre: egli capì che la situazione era tale da esigere il ricorso ai princìpi più alti del diritto, non potendo mantenere la professione della vera fede con l’applicazione letterale delle leggi ordinarie. Grazie alla sua virtù di prudenza è oggi possibile servire la Chiesa in una vita sacerdotale libera dagli errori moderni.

Considerando che è molto difficile acquisire con ripetizione di atti una virtù che si può esercitare solo in circostanze eccezionali (e quindi rare), appare nettamente in Mons. Lefebvre il carattere soprannaturale di un esercizio così elevato della gnome.