L'eugenetica, ieri e oggi (4): le costanti storiche

Fonte: FSSPX Attualità

“Vue idéale de l’Acropole et de l’Aréopage à Athènes”, par Leo von Klenze (1846)

Dopo aver descritto le sue pratiche, è possibile presentare le caratteristiche dell'eugenetica precristiana. Essendo la natura umana la stessa ovunque e in ogni epoca, non è sorprendente notare la relazione di questa eugenetica con le aberrazioni (ri) apparse nei tempi moderni.

 

L'onnipotenza dello Stato



È una costante delle antiche civiltà: l'eugenetica in tutta la sua ampiezza è apparsa e non poteva svilupparsi che nell'ambito di uno Stato onnipotente in cui la libertà individuale era inesistente.

Lo storico Fustel de Coulanges ne ha fatto un quadro preciso: "La Città è stata fondata su una religione e costituita come una Chiesa. Da qui la sua forza e la sua onnipotenza e il potere assoluto che esercitava sui suoi membri. In una società basata su tali principi, la libertà individuale non sarebbe potuta esistere. Il cittadino era soggetto in tutte le cose e senza alcuna riserva alla Città; gli apparteneva del tutto. Non c'era niente nell'uomo che fosse indipendente. Il suo corpo apparteneva allo Stato ed era dedicato alla sua difesa; (...) La sua fortuna era sempre a sua disposizione".

La vita privata non sfuggiva a questa onnipotenza dello Stato. "I romani non credevano che a tutti dovesse essere data la libertà di sposarsi, di avere figli, di scegliere il proprio stile di vita, di fare feste e infine di seguire i propri desideri e gusti, senza sottoporsi a un'ispezione e un giudizio preliminare"[1].

La legge ateniese, in nome della religione, proibiva agli uomini di rimanere celibi [2]. Sparta puniva non solo coloro che non si sposavano, ma anche quello che si sposavano tardi. Lo Stato aveva il diritto di non tollerare che i suoi cittadini fossero deformi o imperfetti. Di conseguenza ordinava al padre da cui nasceva un bambino simile, di farlo morire. Questa legge è stata trovata negli antichi codici di Sparta e Roma.

"Quindi gli antichi non conoscevano né la libertà della vita privata né la libertà di educazione. La persona umana contava ben poco nei confronti di questa autorità santa e quasi divina che era chiamata la Patria o lo Stato. La massima fatale secondo cui la sicurezza dello Stato è la legge suprema è stata formulata nell'antichità"[3].

Da questa concezione derivano diversi tipi di regolazione della popolazione.

Regolazione quantitativa



La regolazione statale della popolazione è principalmente opera delle città greche. Per ragioni politiche, economiche o puramente eugenetiche, queste città si sono date una drastica limitazione delle nascite. Sono quelle che hanno davvero inventato la "crescita zero" che verrà ripresa dai moderni. Era la legge stabilita da Licurgo ed è l'ideale sostenuto da Platone o Aristotele.

Gustave Glotz, storico dell'antica Grecia, spiegò la ragione di tale comportamento: "Si pensava di obbedire ad un'ineluttabile necessità. Il suolo della Grecia non sembrava in grado di nutrire un uomo in più del necessario. Dall'antichità più remota e fino alla conquista romana, le città e i villaggi greci, stretti l'uno contro l'altro in piccoli Stati, stipati su un territorio non molto fertile, erano troppo stretti e troppo poveri per una popolazione troppo densa. Il surplus indefinito delle nascite sulle morti, complicato dal sempre crescente arrivo di schiavi barbarici, la moltiplicazione illimitata di bocche da sfamare in un paese in cui le colture annuali e la ricchezza acquisita erano molto limitate: questo è il male contro cui la Grecia ha sempre dovuto lottare. Combatteva, combatteva sempre contro la crescita della popolazione, quando un giorno si rese conto di essere deserta" [5].

Denatalità



Una tale politica può solo portare allo spopolamento. Ciò è attestato da contemporanei come Polibio: "Se qualcuno ha osasse chiedere agli dèi cosa dire o fare in modo per essere più numerosi e per rendere le nostre città più popolate, non sarebbe questo uuna richiesta assurda, poiché la causa del male è ovvia e dipende da noi porvi rimedio?

"La gente di questo paese ha ceduto alla vanità e all'amore per i beni materiali; hanno gradito la vita facile e non vogliono più sposarsi o, quando lo fanno, si rifiutano di occuparsi bambini nati da loro o crescerne al massimo uno o due, al fine di poterli viziare durante la loro giovane età e poi lasciare loro una grande fortuna. Ecco perché il male si è rapidamente sviluppato senza esserne consapevoli".

"In effetti, quando ci sono solo uno o due bambini, è sufficiente che la guerra porti via l'uno e la malattia l'altro, da lasciare le case ineluttabilmente vuote. Quindi, proprio come gli sciami di api, anche le città si stanno svuotando della loro sostanza e gradualmente stanno svanendo. Non è necessario interrogare gli déi per sapere come potremmo sbarazzarci di questo flagello. Il primo arrivato ci dirà che dipende soprattutto da noi e che dovremmo nutrire solo altre ambizioni, o che, in mancanza di ciò, dovremmo approvare leggi che obblighino i genitori a crescere i loro figli" [6].

Ci furono reazioni salutari, ma era troppo tardi. Fernand Auburtin, che si dedicò agli studi pratici dell'economia sociale, riporta alcuni saggi di "politica natalista": "Prosciugatesi le fonti di vita, lo Stato si è trovato impotente e disarmato. La legislazione di Sparta, tornando a questo colpevole errore fatale, esentava il padre di tre figli dal servizio militare e il padre di quattro figli da tutte le tasse. Queste misure sono arrivate troppo tardi per reagire utilmente contro le abitudini radicate. Sparta, secondo Senofonte, era scesa, per il numero dei suoi abitanti, all'ultimo lievello delle città della Grecia.[7] In centocinquanta anni, dal 480 al 330 a.C., aveva perso 7/8 della sua popolazione. Intorno a quest'ultimo periodo, Aristotele scrisse: "Questo paese, in grado di rifornire 1.500 cavalieri e 30.000 opliti, ha appena un migliaio di combattenti. Inoltre, lo Stato non ha potuto sopportare una sola battuta d'arresto, [8] ed è stata la scarsità di uomini a ucciderlo" [9]. (...)

"Alla fine, il male aveva raggiunto un punto tale, nel secondo secolo dell'era cristiana, che tutta la Grecia, secondo Plutarco, non avrebbe potuto raccogliere 3.000 opliti, vale a dire quanti ne aveva inviati la sola città di Megara  in occasione della battaglia di Platea" [10]

Questo male raggiunse anche Roma, nonostante la politica delle crescite che era stata in grado di attuare: "Roma aveva sempre incoraggiato le famiglie numerose. Ma mentre il bottino delle nazioni vinte si riversava a Roma, i costumi divennero corrotti; divenne la capitale del mondo, non vedeva da nessuna parte nemici da temere. Costringeva gli schiavi a lavorare nelle sue terre e sentiva sempre meno il bisogno di avere figli per difenderla. Catone il Censore già consigliava al proprietario di non disperdere la sua fortuna. Questa massima è stata seguita fin troppo bene. Il considerevole numero di celibi e il numero in costante aumento di divorzi portò a una diminuzione della popolazione che ci viene rivelata da due censimenti: uno che ebbe luogo nell'anno 594 di Roma (159 a.C.); l'altro, l'anno 622 (131 a.C.). In questo divario generazionale, il numero di cittadini - l'unico contato dal censimento, esclusi donne, bambini, emancipati e schiavi - era passato da 338.000 a 318.000" [11].

Athéna menant le jeune homme à la victoire, Schlossbrücke, Berlin

Regolazione qualitativa



Un altro tipo di regolamentazione riguarda il progresso della razza, che presuppone la separazione in classi o caste diverse, che comprende non solo la distinzione tra padroni e schiavi, ma una separazione tra cittadini superiori e inferiori. Si deve quindi garantire la sostenibilità dei migliori e far scomparire gli uomini inferiori non allevando i loro figli. Secondo Platone, questa misura deve essere nascosta: "inoltre, tutte queste disposizioni, quando vengono prese, siano ignorate da tutti tranne i magistrati, perché, d'altra parte, il gregge animale di cui sono i guardiani deve essere, nella massima misura, libero dal dissenso" [12].

Questo principio porta a un elitarismo destinato a mantenere la purezza o il miglioramento della razza assicurandosi l'apporto dei migliori genitori. Promuove l'eliminazione del bambino anormale o inferiore e promuove il possibile miglioramento cercando di ottenere uomini superiori. Tende a considerare l'uomo come un qualsiasi animale quando si tratta di riproduzione e a disprezzare completamente la vita umana quando non rientra in schemi definiti e canoni prescritti.

Così testimonia Plutarco: "Gli (a Licurgo) sembrava che nelle leggi e nelle ordinanze delle altre nazioni, riguardo ai matrimoni, ci fossero molte sciocchezze e vanità, visto che facevano unire i loro cani e le loro giumente con i cani più belli e i migliori stalloni che potevano recuperare, e tuttavia tenevano rinchiuse le loro mogli, per paura di concepire qualcosa diverso da loro, anche se erano senza cervello, malati o troppo vecchi" [12]. Platone usa lo stesso ragionamento[13].

La procreazione come funzione sociale



Come risultato diretto dell'onnipotenza dello Stato, la procreazione è oggetto di leggi eugenetiche positive. Perché se la paternità dei figli equivale a donarli allo Stato, è normale che questi ultimi possano legiferare su tutto ciò che riguarda questa funzione, dalla qualità delle persone all'età per le unioni, compresa l'età per la gravidanza, il numero di figli, l'organizzazione dei matrimoni, la gravidanza, ecc. Giustifica l'eugenetica negativa: poiché il cittadino usa solo la funzione procreativa per fornire altri cittadini alla Città, questa si vede concesso il diritto di selezionarli come preferisce e respingere quelli che pensa non le serviranno.

Inoltre, lo Stato può, senza imporre direttamente l'omicidio dei bambini, agire in modo tale che i genitori vengano spinti a commetterlo. Ad esempio, Platone lo suggerisce, non aiutando i genitori a crescere figli considerati soprannumerari, o addirittura svalutando agli occhi delle masse, una maternità troppo fertile. Questo è stato il caso di Roma all'inizio del suo declino.

Questo excursus sulle società pagane ci permette di prendere la portata dell'eugenetica prima che il cristianesimo arrivi a restaurare i costumi dell'umanità decaduta. Rispetto ai nostri tempi, ci consente di verificare la parola del Ecclesiaste: "non c'è nulla di nuovo sotto il sole". Gli uomini, quando rifiutano la Rivelazione, cadono sempre negli stessi errori e negli eccessi peggiori.

1. Plutarco, La vita di uomini illustri, Catone il Vecchio, c. 23

2. Plutarco, Ib., Lisandro, c. 30.

3. Cicerone, De legibus, livre III, c. 3.

4. Fustel de Coulanges, La Cité Antique, Librairie Hachette, Paris, 1874, 5e éd., livre III, c. XVII, p. 262-267.

5. G. Glotz, « Expositio » in Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines, Hachette, 1873, t. III, p. 938-939.

6. Plibio, Storie, libro XXXVII, 4, 4-6.

7.  Xénophon, République des Lacédémoniens, traduction de Pierre Chambry, Paris, I, 1.

8.  La sconfitta di Leuttra nel 371.

 9. Aristote, La Politique, Librairie philosophique J. Vrin, 1982, p. 139, 1270 a 29-33.

10.  F. Auburtin, La Natalité, Les éditions G. Cres & Cie, Paris, pp. 62-63.

 11. Ib., p. 63.

12.  Plutarco, La vita di uomini illustri, Licurgo, XXX, p. 107.

13.  Platone, op. cit., V, 459 a à d.