Né scismatici, né scomunicati (6)

San Roberto Bellarmino
Il sito FSSPX.Attualità ripropone un articolo del 1988 che, divenuto difficilmente reperibile, merita una nuova presentazione. Il testo riprende la constatazione della crisi della Chiesa e della sua gravità, che costringe i fedeli a scegliere tra la fede e l'obbedienza ai nuovi orientamenti ecclesiali.
La situazione “straordinaria” nella Chiesa
La frattura tra l'unità di fede e una presunta "unità di comunione" temporanea con una gerarchia che omette, nasconde o altera la dottrina ricevuta da Dio e trasmessa dalla Chiesa, crea nella Chiesa militante una situazione "straordinaria", cioè uno stato di cose non ordinario e irregolare.
La situazione normale e ordinaria della Santa Chiesa Cattolica esige che la gerarchia, nell'orientamento che ha come missione di impartirle dall'esterno, favorisca o almeno non contraddica l'orientamento che il suo Capo invisibile le ha inizialmente impartito e che continua a darle ancora con la grazia [1].
Quando invece la gerarchia contraddice questo orientamento che Cristo ha dato e continua a dare e che nessuno ha il diritto di cambiare, nel cattolicesimo si crea inevitabilmente una situazione di conflitto e di disagio.
Del conflitto tra l'orientamento che si vorrebbe forzare ad ammettere e il sensus fidei dei cattolici; tra l’asse di governo che viene imposto e la consapevolezza che ogni vescovo ha, o almeno dovrebbe avere, della propria missione.
Di disagio tra i fedeli, che si vedono aggrediti nella Fede da coloro che dovrebbero esserne custodi e padroni e che perciò si trovano obbligati in coscienza a resistere a coloro che vorrebbero e che, in tempi normali, avrebbero il dovere di seguire come Pastori.
Del disagio di quei vescovi che sentono in coscienza il dovere di resistere (che poi non lo facciano, per i motivi più vari, è un altro discorso) all'Autorità che ha il compito di assicurare l'unità di governo nella Chiesa, Autorità con la quale vorrebbero e, in tempi normali, dovrebbero essere in comunione. Questa situazione “straordinaria” nella Chiesa impone anche a tutti doveri straordinari.
Doveri straordinari dei laici
Accusati di non essere in comunione con la Chiesa militante, i laici rispondono con santa Giovanna d’Arco: "Sì, mi unisco, ma 'Dio deve essere servito per primo'". Accusati di disobbedienza al Papa, spiegano che "lo Spirito Santo è stato promesso ai Successori di Pietro non perché rivelassero una nuova dottrina, ma perché, sotto la Sua Assistenza, conservassero in tutta la sua purezza ed esponessero fedelmente la Rivelazione trasmessa dagli Apostoli e che è il deposito della fede" [2].
E che "il potere del Papa non è illimitato: non solo egli non può cambiare nulla di ciò che è di istituzione divina (sopprimere la giurisdizione episcopale, per esempio), ma posto per edificare, non per distruggere (2 Cor. 10), è tenuto per legge naturale a non seminare confusione nel gregge di Cristo" [3].
E nel loro cuore si dolgono con Santa Caterina [4]: "Santità, non fatemi lamentare di Voi con Gesù Crocifisso. Non posso lamentarmi con gli altri, perché non avete superiori sulla terra".
In pratica, aggrappandosi alla dottrina e alla pratica tradizionali della Chiesa, resistono alle “novità” volute, incoraggiate o permesse dall’alto, credendo contro ogni apparenza umana e sperando contro ogni speranza umana che il disorientamento passerà perché “le porte dell’Inferno non prevarranno” e che la Sposa di Cristo “non può perdere la memoria” della Tradizione divina. [5]
La loro santa “obiezione di coscienza” sembra lacerare l’unità visibile della Chiesa: i cattolici ne soffrono, ma sanno di non esserne responsabili; soprattutto sanno che non è loro consentito agire diversamente.
Amano la Chiesa e professano fermamente il primato di Pietro; sono pronti ad obbedire al suo Successore nella misura in cui egli agisce come Successore di Pietro; ma sanno anche che, nello straordinario stato di cose in cui vivono, hanno il dovere di resistere anche a lui o a coloro che agiscono in suo nome, "nel Nome di Uno più grande di lui".
La decisione del loro sensus fidei è supportata dalla grande teologia cattolica: sant'Agostino, san Cipriano, san Gregorio nel commento al celebre episodio di Antiochia, Turrecremata, Bañez, Vitoria, Suarez, Gaetano, san Roberto Bellarmino, san Tommaso d'Aquino e altri autori comprovati insegnano che "il pericolo per la fede" e lo "scandalo pubblico", particolarmente in materia dottrinale, rendono non solo lecito, ma giusto resistere pubblicamente alla gerarchia e allo stesso Pontefice.
Lecito, perché "come è lecito resistere al Pontefice che attacca il corpo, così è lecito resistere al Papa che attenta alle anime o turba l'ordine civile, e, a maggior ragione, al Papa che tenta di distruggere la Chiesa" [7].
Giusto, perché con la fede è in gioco la salvezza eterna propria e degli altri, e con la salvezza la gloria che l'uomo deve, secondo il disegno divino, al suo Creatore. È alla sua Legge eterna che devono riferirsi tutte le relazioni naturali e soprannaturali tra le creature, senza che nessuno ne sia esente [8].
Ecco perché San Tommaso scrive. "Notiamo che, se ci fosse un pericolo per la fede, i subordinati sarebbero tenuti a rimproverare i loro prelati, anche pubblicamente" [9].
E Gaetano: "Bisogna resistere al Papa che distrugge apertamente la Chiesa" [10].
1
Cardinale Journet, L’Eglise du Verbe incarné, vol. 1, p. 525, nota I sulla Chiesa “monocefala”, cioè con un solo capo.
2
Vaticano I, Costituzione dogmatica De Ecclesia Christi, Dz. 1836.
3
Dizionario di Teologia Cattolica, vol. II, col. 2039-2040.
4
Lettera a Gregorio XI.
5
P. Calmel O.P.,Brève Apologie pour l’Eglise de toujours, Difralivre.
6
Cardinale Journet.
7
San Roberto Bellarmino, De Romano Pontifice.
8
Vedi Dizionario di Teologia Cattolica, vol. IX, col. 876-877.
9
IIa-IIæ q. 33 a 4 ad 2.
10
De comparata auctoritate papæ et concilii.
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(Fonte: Courrier de Rome/Sì sì no no – FSSPX.Actualités)
Immagine : Musée Plantin-Moretus, CC0, via Wikimedia Commons