Francesco: dieci anni di pontificato in dieci domande (10)

Fonte: FSSPX Attualità

Papa Francesco nel 2021

Il 13 marzo 2013 il cardinale Jorge Mario Bergoglio è stato eletto papa e ha preso il nome di Francesco. Dieci anni dopo, l'anniversario di questa elezione è stato festeggiato in modo molto discreto: il Papa ha celebrato una messa privata con i cardinali presenti a Roma, nella cappella della residenza di Santa Marta.

Radio Vaticana e Vatican News hanno trasmesso un'intervista a Francesco in cui ha concluso con il suo "sogno per la Chiesa, per il mondo, per chi lo governa e per l'umanità", riassumendolo in tre parole: "fraternità, lacrime e sorriso". I vaticanisti hanno cercato di fare il punto sugli ultimi dieci anni, attraverso una serie di dubbi e interrogativi che si possono ridurre a dieci domande. Ecco l'ultima:

10. Quale reazione sarebbe auspicabile?

C'è un rimedio a questa confusione dottrinale e morale? In un'intervista al giornalista Edward Pentin del 18 febbraio, don Nicola Bux, già consultore della Congregazione per la dottrina della fede, ha offerto una soluzione: "La metà dei cardinali elettori, e molti vescovi, sono convinti che non si possa andare avanti, così un cambiamento è necessario per rimettere in ordine la Chiesa, se vuole restare cattolica".

"C'è agitazione nel Collegio cardinalizio, come c'è tra i sacerdoti, ma il corpo ecclesiale si sta risvegliando da uno stato di anestesia. Come affermava Joseph Ratzinger, la crisi della Chiesa è legata al crollo della liturgia, e il rimedio sta nell'“ermeneutica della continuità e riforma dell'unico soggetto-Chiesa”, aggiungerei che il rimedio sta nella “ riforma della riforma liturgica” che ha voluto."

Sul blog di Corrispondenza Romana del 25 gennaio, Roberto de Mattei ha mostrato con più lucidità che "l'ermeneutica della riforma nella continuità" proposta da Benedetto è stata in definitiva inefficace.

Si è basato sull'opera postuma del papa tedesco: "Che cos'è il Cristianesimo. Quasi un testamento spirituale, Mondadori, 2023, un testo, a cura di Elio Guerriero e Georg Gänswein, che raccoglie gli scritti, editi e inediti, di Benedetto XVI durante i suoi dieci anni di post-pontificato".  

Lo storico italiano afferma giustamente che "il filo conduttore [nel pensiero di Joseph Ratzinger] rimane il tentativo di trovare una via intermedia tra le posizioni della teologia tradizionale, a cui non ha mai aderito, e quelle del modernismo radicale, da cui ha sempre preso le distanze. Ciò che nella lunga vita di Benedetto è cambiato non sono le idee, ma il giudizio sulla situazione della Chiesa, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II e la Rivoluzione del Sessantotto."

E aggiunge: "Come prefetto della Congregazione per la Fede e come Papa, Josef Ratzinger avrebbe potuto intervenire con mano ferma per stroncare questo fenomeno [di decadenza postconciliare e post-sessantotto]. Se ciò non avvenne, fu solo perché egli rimase sempre un professore piuttosto che un uomo di governo, o piuttosto per la debolezza di una posizione teologica incapace di individuare gli errori del Vaticano II e del post-Concilio?"

"La nuova morale diffusa nei seminari e nelle università cattoliche era frutto della costituzione Gaudium et Spes del Vaticano II, un documento che appare come un manifesto di “conversione” della Chiesa al mondo moderno. Ma se la Chiesa rinuncia a cristianizzare il mondo è fatalmente il mondo a mondanizzare la Chiesa."

"La discussione sulla retta interpretazione della Gaudium et spes ha un significato poco rilevante, perché non si può arginare un processo rivoluzionario con i soli strumenti dell’ermeneutica, senza opporre a questo processo di dissoluzione un progetto di riconquista e di ricristianizzazione della società."

Di passaggio, Roberto de Mattei, ritiene che questa incapacità di individuare gli errori del Concilio sia stata in parte la causa delle dimissioni di Benedetto XVI: "L’abdicazione del pontefice non fu dovuta a misteriose pressioni, ma a «stanchezza, fisica e mentale», come spiega con dovizia di particolari mons. Gänswein nelle pagine del suo volume dedicate alla «storica rinuncia» (Nient’altro che la verità, pp. 191-230)".

"Questa stanchezza fu anche una confessione di impotenza di fronte a una crisi morale che avrebbe trovato nuova espressione nella Amoris laetitia di papa Francesco. Nella Amoris laetitia, la morale è ridotta alle circostanze storiche e alle intenzioni soggettive di chi pone un atto umano. "

Al corrente del fallimento dell'"ermeneutica della riforma nella continuità", sacerdoti e fedeli legati alla tradizione sanno che la reazione salvifica non verrà da un compromesso, ma da un ritorno ai principi cattolici - dottrinali, morali e liturgici - nella loro integrità e completezza. Oggi è sempre più chiaro che la soluzione non è iniettare una dose di tradizione nel modernismo, con l'illusione che questa dose ne neutralizzi il veleno.

D'ora in poi non è più questione di dosare ma di osare! Osare "fare l'esperienza della Tradizione", come invitava Mons. Marcel Lefebvre, con coraggio e tenacia, senza timore di opposizione o persecuzione. Per l'onore di Dio, per amore della Chiesa e per la salvezza delle anime.