Il Dicastero per la Dottrina della Fede pubblica una nota sui sacramenti

Fonte: FSSPX Attualità

Il documento del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) è datato 2 febbraio 2024 e si intitola "Gestis verbisque", che si può tradurre "con gesti e parole". Si riferisce alla costituzione dei sacramenti che comprendono atti associati a formule rituali.

Nella sua lettera di presentazione, il Prefetto del DDF, cardinale Manuel Victor Fernandez, spiega il motivo di questa Nota: nel gennaio 2022, i cardinali e vescovi membri della Congregazione per la Dottrina della Fede "hanno espresso la loro preoccupazione riguardo alla moltiplicazione dei situazioni in cui è stata constatata l’invalidità dei sacramenti celebrati".

Da ciò sono nate molte difficoltà: la necessità di trovare persone per ripetere il battesimo o la cresima invalidi, o anche per battezzare e poi ordinare sacerdoti il ​​cui battesimo era invalido, con conseguente nullità dei sacramenti da loro amministrati – eccetto il battesimo.

Il Prefetto avverte inoltre che "cambiare la forma di un sacramento o il suo oggetto è sempre un atto gravemente illecito e merita una punizione esemplare, proprio perché tali gesti arbitrari sono idonei a produrre un grave danno al fedele Popolo di Dio".

Una spiegazione classica
Il documento spiega nella sua introduzione che "non sempre la celebrazione liturgica, in particolare quella dei Sacramenti, si svolge nella piena fedeltà ai riti prescritti dalla Chiesa". E il DDF essendo stato "più volte" consultato sulla validità dei sacramenti celebrati, "dovendo talvolta concludere con una dolorosa risposta negativa", soprattutto nel caso del battesimo.

La prima parte, pur facendo riferimento alla nozione di Chiesa come sacramento avanzata dal Concilio Vaticano II, che potrebbe essere seriamente messa in discussione, si riferisce tuttavia – una volta non è consuetudine – al Concilio di Trento che "ha solennemente dichiarato di istituzione divina" i sette sacramenti. Il che richiede una lealtà esemplare verso questa istituzione.

La seconda parte ricorda che la Chiesa non è padrona dei sacramenti: non può toccare la loro "sostanza", sempre secondo il Concilio di Trento, cioè le parole, i gesti e la materia necessari per compiere un sacramento.

Le parole costituiscono la forma: spiegano cosa si sta facendo. La materia può essere un elemento (acqua, olio, pane, vino) e il gesto spesso accompagna la formula, come un segno di croce o un'unzione. A ciò si aggiunge l'intenzione del ministro che deve avere la volontà di realizzare "ciò che fa la Chiesa". La modifica di uno qualsiasi di questi elementi spesso rende il sacramento invalido.

La terza parte, infine, ricorda che è sempre Cristo ad agire principalmente nei sacramenti: è Lui che infonde la grazia nelle anime. Il ministro sta solo aiutando. Inoltre, la Chiesa agisce con Cristo, come sua Sposa, e anche il sacerdote agisce in nome della Chiesa. E il ministro non può sostituirsi né a Cristo né alla Chiesa.

Per questo deve rispettare religiosamente la liturgia sacramentale sulla quale non ha altro potere che amministrarla: non può toccare né cambiare nulla. Il testo, nonostante questa esatta teologia, mantiene una fonte di deviazioni che vuole sradicare.

Una dimenticanza delle responsabilità
Al n. 21 ricorda infatti che, secondo il Vaticano II, "si lasci posto alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici, regioni, popoli, soprattutto nelle missioni". E aggiunge: "la riforma liturgica [...] non solo ha autorizzato le Conferenze Episcopali a introdurre adattamenti generali [...], ma ha altresì previsto la possibilità di adattamenti particolari da parte del ministro della celebrazione".

Fu la riforma liturgica, una vera rivoluzione, a soffiare un vento di anarchia nella celebrazione dei sacramenti. Il fatto – assolutamente senza precedenti – che in circa dieci anni i riti di tutti i sacramenti siano stati riformati più o meno profondamente non può che dare l'impressione di una mobilità di questi elementi fondamentali del nostro culto.

Così, nella Messa, le modifiche introdotte e poi moltiplicate sono state innumerevoli: alla fine degli anni '70 erano state approvate più di dieci "preghiere eucaristiche", dalle quattro originarie a quella autorizzata "per circostanze particolari", passando per quelle per la messa dei bambini e le innumerevoli variazioni nei vari paesi.

Così, in pochi anni, il rito latino, che aveva sempre avuto un solo canone, che aveva alimentato per tanti secoli il culto e la meditazione del clero e dei fedeli, si è improvvisamente rivestito di una decina di preghiere eucaristiche diffuse – ad eccezione del primo – della concezione liturgica del tempo. Concezione che presto sarebbe diventata datata, per ammissione anche dei più entusiasti.

Va aggiunto che questa Nota del FODD non è il primo intervento della Curia in questa materia. La Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino pubblicò l'istruzione Inaestimabile donum il 3 aprile 1980. Si legge al n. 5: "Si usino soltanto le Preghiere eucaristiche incluse nel Messale romano o legittimamente ammesse dalla Sede apostolica, secondo le modalità e i limiti da essa stabiliti."

Questo ammonimento si rivelò decisamente insufficiente. Gli abusi continuarono a proliferare. Gli anni successivi videro gli avvertimenti andare e venire. Già nel 1988 Papa Giovanni Paolo II si sentì obbligato a ricordare che "non possiamo tollerare che alcuni sacerdoti si arroghino il diritto di comporre preghiere eucaristiche".

Quindici anni dopo, deve ancora intervenire la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Il 25 marzo 2004 ha pubblicato l'istruzione Redemptionis Sacramentum, su alcune cose da osservare ed evitare riguardo alla santissima Eucaristia.

I membri della Curia dovrebbero forse meditare su queste parole: "Dio si beffa degli uomini che deplorano gli effetti di cui adorano le cause", adattata dal vescovo Jacques-Bénigne Bossuet (Storia delle variazioni delle chiese protestanti, libro IV).